Identificata nel 1922 dal team del biochimico Dottor McCollum come l’elemento in grado di proteggere la crescita ossea e di prevenire il rachitismo , la Vitamina D è oggi nota per il suo ruolo nella regolazione dell’omeostasi del calcio e del trofismo del tessuto osseo. Sintetizzata nella cute per azione dei raggi ultravioletti B della luce solare, o assunta con la dieta, dopo conversioni enzimatiche a livello epatico e renale, essa si lega al suo recettore, determina un aumento dell’assorbimento intestinale di calcio e favorisce i processi di rimodellamento osseo. Di recente, l’evidenza che la maggiore parte delle cellule immunitarie ha la capacità di sintetizzare il metabolita attivo della Vitamina D ed esprime il recettore nucleare mediante il quale essa esplica la sua azione, ha supportato l’ipotesi che possa anche modulare la risposta immune. A sostegno di tale ipotesi, numerosi studi in vivo ed in vitro hanno dimostrato effetti regolatori diretti della Vitamina D sulle funzioni dei linfociti B e T e sulla funzione delle cellule della risposta innata. Inoltre, negli ultimi anni studi clinici ed epidemiologici hanno dimostrato una significativa associazione tra il deficit di Vitamina D e l’aumentata incidenza di malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide (AR), suggerendo che possa prevenirne lo sviluppo.
L’AR è un disordine infiammatorio, a patogenesi autoimmune, alla cui suscettibilità contribuiscono fattori genetici e non (infettivi, ormonali, ambientali). Essa è caratterizzata da un processo infiammatorio a carico della sinovia delle articolazioni diatrodiali, con progressiva distruzione delle componenti cartilaginee e ossee.
Uno studio prospettico con un follow-up di 15 anni ha evidenziato che la supplementazione di Vitamina D, somministrata oralmente o introdotta con la dieta, impediva lo sviluppo dell’AR e ne ritardava la progressione. La valutazione clinica di donne affette da AR, del Nord e del Sud dell’Europa, suggeriva una riduzione dei livelli vitaminici all’aumentare della latitudine e la correlazione delle variazioni stagionali con l’attività di malattia. Più di recente studi prospettici e retrospettivi hanno dimostrato livelli di Vitamina D più bassi nei pazienti con AR, rispetto a soggetti sani, ed il loro stretto rapporto con l’insorgenza e la severità della malattia e l’abilità funzionale . Inoltre, pur non essendo stata dimostrata una significativa associazione con le erosioni ossee, i livelli di Vitamina D sono risultati significativamente più bassi nei pazieti con AR con osteopenia o osteoporosi, rispetto a quelli con BMD (Densità Minerale Ossea) normale.
Tali dati potrebbero essere spiegati con la già ben documentata capacità della Vitamina D di inibire la proliferazione e l’attività dei linfociti T, che giocano un ruolo chiave nell’immunoflogosi dell’AR, e di modulare l’attivazione del sistema trimolecolare RANKL/RANK/Osteoprotegerina, il principale meccanismo di regolazione della differenziazione osteoclastica.
Tuttavia, nella recente letteratura non mancano studi dai risultati fortemente contrastanti che riportano livelli vitaminici in pazienti affetti da AR paragonabili a quelli di soggetti sani e non evidenziano alcuna correlazione con l’insorgenza e la severità di malattia. Inoltre alcuni Autori dimostravano una significativa correlazione solo in soggetti con alta o moderata attività di malattia, ed altri, invece, solo in soggetti con bassa attività di malattia. Tale discrepanza potrebbe essere legata a differenti criteri di selezione dei pazienti o al differente metodo di valutazione dei livelli di vitaminici.
Anche se ulteriori studi si rendono necessari per valutare lo stato vitaminico D nei pazienti affetti da AR e per valutare le eventuali correlazioni con gli indici clinici di malattia, i dati presenti in latteratura suggeriscono che la vitamin D sia uno dei fattori ambientali contribuente all’insorgenza dell’AR e che la sua supplementazione possa essere raccomandata nel trattamento di pazienti con AR.
Anna Neve
Università degli Studi di Foggia