Negli ultimi decenni numerosi ricercatori, in tutto il mondo scientifico, hanno indirizzato i loro studi sulla terapia genica. La terapia genica prevede l’inserimento nell’organismo del paziente di un gene sano che compensi la perdita di funzionalità del rispettivo gene alterato responsabile della patologia, con l’obiettivo di ristabilire la corretta funzionalità dei geni e quindi l’arresto della malattia. Questo approccio evidentemente è possibile in quelle patologie di cui si conosca l’alterazione genetica che è alla base della malattia.
Un nuovo campo di applicazione della terapia genica sembra essere, secondo alcuni studiosi dell’University College di Londra, il grave ritardo di crescita fetale. Secondo gli studiosi, per curare il ritardo di crescita fetale, bisognerebbe incrementare l’azione del gene vascular endothelial growth factor, VEGF, stimolando la crescita di nuovi vasi e garantendo un maggior apporto di sangue al feto. Ricordiamo come il VEGF sia una molecola fondamentale per la placenta e una sua presenza alterata sia all’origine di diverse malattie della gravidanza.
Il progetto si realizzerebbe arrichendo le cellule che rivestono le arterie dell’utero di “copie” in piu’ del gene per il VEGF. L’esperimento pero’ non e’ scevro da limiti. Infatti i geni esogeni, cioe’ introdotti dall’esterno, vengono progressivamente degradati dal sistema immunitario. Per ottenere qualche buon risultato infatti ci si accontenta di migliorare l’apporto di nutrienti per un periodo breve.
Esiste poi un altro problema: per portare VEGF all’interno delle cellule bisogna fornirsi di un vettore, generalmente un virus. Gli inglesi hanno utilizzato l’adenovirus (cioe’ il virus del raffreddore) il cui utilizzo e’ stato approvato per la terapia genica. Ma la sicurezza del metodo si sta testando solo ora perche’ ci si puo’ aspettare, anche da questo inserimento, una risposta infiammatoria o immunitaria.
In sintesi se i test sugli animali saranno sufficientemnte efficaci si passera’ alla sperimentazione sull’uomo. L’approccio e’ sicuramente interessante e puo’ dare speranze per instaurare una vera e propria terapia per il grave ritardo di crescita fetale che oggi siamo in grado solo di monitorare scegliendo il momento del parto a seconda dei parametri materni e fetali piu’ favorevoli.
Alessandro Bovicelli
Ricercatore Universita’ di Bologna, Specialista in ginecologia e ostetricia