Il Nord inquinato dalle sue industrie e dai suoi inceneritori paga un caro prezzo in tumori, malformazioni e morti. Il
Mezzogiorno, che quel carico industriale non lo ha, se non in alcune zone, ha perso ora anche il vantaggio della sopravvivenza.
Oggi, infatti, nelle terre delle ecomafie si muore di tumore quanto nel Nord delle industrie: talvolta di più, addirittura fino al 22% in più, come rivelano anticipazioni dell’ultimo studio italo-statunitense in via di pubblicazione e presentato inquesti giorni a Sperone, Avellino, dal professor Antonio Giordano, ordinario di anatomia e istologia patologica presso il dipartimento di patologia umana e oncologia dell’università di Siena. Sono, infatti, le mafie il carico “industriale” del Sud. Un’industria che produce profitti consumando, letteralmente, vite e territori. Un capolavoro anche della politica che quel nesso — gestione illegale dei rifiuti uguale (anche) aggressione micidiale alla salute pubblica — si ostina a non vedere.
Bombe a orologeria. Un rapporto del 2008 dell’Organizzazione mondiale della sanità e dell’Istituto superiore di sanità quel nesso l’ha ben chiarito per una serie di tumori: allo stomaco, al fegato, alle vie biliari, ai polmoni, alla vescica. Lo smaltimento incontrollato o malgestito di rifiuti è stato in quel rapporto scientificamente indicato anche come colpevole di epidemie di gravi di malformazioni congenite nei bambini campani, descritte e studiate in quell’anno. àˆ stato stabilito dai ricercatori un “indice di pressione ambientale”, in base alla distribuzione delle quasi 600 discariche note, la mappa dei roghi, gli sversamenti di ogni tipo. Tenendo conto che il censito, ovviamente, è inferiore alla realtà . E si è anche sgombrato il campo dall’equivoco che i meridionali si ammalino di più perché poveri, tabagisti, scarsi consumatori di verdura (alcune ricerche hanno affermato anche questo). Anche i ricercatori dell’Oms hanno incluso i parametri di «deprivazione» (povertà ) nel calderone statistico: ma hanno chiarito, una volta per tutte, che in questa esplosione di patologie c’è ben altro oltre al sottosviluppo. Le falde acquifere fra Napoli e Caserta, epicentro di epidemie tumorali, rischiano l’avvelenamento definitivo — testimonia un’inchiesta di Daniela De Crescenzo su “Il Mattino” — e con loro i campi più fertili d’Italia e la catena alimentare. Altro che tabagismo meridionale. Stabilito questo, oggi si scopre qualcosa di peggio. L’Oms non aveva preso in considerazione il tumore alla mammella. Lo ha fatto un team di ricercatori uniti dall’iniziativa di Antonio Giordano, presidente della Sbarro Health Research Organization di Filadelfia, istituzione che partecipa al progetto. Per lui presentare i risultati di questo lavoro è come aver ripreso il testimone del padre Giovan Giacomo Giordano, primario anatomopatologo al Pascale di
Napoli che già nel ’76 produsse la prima ricerca sistematica che denunciava il legame fra tumori e inquinamento ambientale.
Si è partiti dall’analisi dei dati forniti dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema sanitario nazionale presieduta dal senatore e medico Ignazio Marino: In Italia si muore di meno di tumore alla mammella. Con una vistosa eccezione: Campania, Sicilia e Calabria, dove l’incidenza è dall’anno scorso quasi triplicata. Era il contrario, fino a qualche anno fa. Oggi le donne di queste tre regioni muoiono fino al 22% in più rispetto a quelle del Centro-nord. Il dato rilevante è che le morti aumentano soprattutto fra le donne tra i 25 e i 45 anni, quelle che in genere, nel resto del mondo, non sono ancora a rischio. I dati del ministero della Salute sui tumori alla mammella, oltretutto, sono sottostimati almeno del 35%. Se ne sono accorti studiando il fenomeno in base alle schede
di dimissione ospedaliera, le cosiddette Sdo, usate in questo screening. Un metodo, questo, ormai approvato e considerato scientificamente corretto anche dalla commissione Igiene e sanità del Senato.
Dr. ssa Chiara Graziani