In occasione del recente viaggio di Papa Ratzinger nel continente africano è tornato alla ribalta il problema dell’AIDS e delle strategie utilizzabili per ridurne la trasmissione sessuale. In realtà un recente lavoro del prof. Cohen, portato all’attenzione della International AIDS Society nel 2008, suggerisce varie opportunità di prevenzione che hanno come obiettivo rispettivamente: 1) la popolazione generale, 2) i soggetti esposti e 3) i soggetti infetti.
1) Nell’ambito della popolazione generale (soggetti, al momento, non esposti) è chiaramente fondamentale una adeguata informazione che indichi le vie di trasmissione della malattia e suggerisca, nel contempo, i mezzi più opportuni per evitare o ridurre il contagio (condom). In quest’ottica è possibile che possano essere utilizzati strumenti diversi che vanno dalle campagne pubblicitarie televisive (spot) ai messaggi che arrivano attraverso gli organi di stampa (quotidiani, riviste etc.). Nei paesi del terzo mondo, invece, in virtù della scarsa diffusione dei media e delle precarie condizioni igienico-sanitarie, è suggerita una strategia diversa (ma sicuramente molto più invasiva !) che, in assoluto, condiziona la riduzione della trasmissibilità per via sessuale (STD) e che utilizza la tecnica della circoncisione dei giovani maschi. Infatti, in questo caso, riducendo la superficie mucosale “utile” si riduce, indirettamente, la possibilità di contagio.
2) Nei soggetti esposti, invece, la prevenzione si può realizzare prima o dopo l’atto sessuale. Nel primo caso andremo ad utilizzare, oltre quanto già attuato nella popolazione generale, meccanismi che riducono ulteriormente la trasmissione (es. anelli vaginali medicati col farmaco tenofovir con una attività antivirale specifica) oppure strategie più ampie che implicano ad esempio l’uso della profilassi pre-esposizione (PrEP) che consiste nel somministrare ad ampie popolazioni dosi giornaliere di semplici terapie (di solito tenofovir o tenofovir + emtricitabina) con lo scopo di ridurre il contagio sessuale (sono in corso vari trials al mondo con buoni risultati ed un arruolamento di circa 20.000 soggetti). Nel caso di un rapporto già consumato, invece, l’unica strategia applicabile è quella della profilassi post-esposizione (PEP) che riduce la trasmissibilità di circa l’80% e che si avvale di una vera e propria terapia triplice (di solito tenofovir + emtricitabina + lopinavi/r) che viene utilizzata per un periodo di 28 giorni sotto stesso controllo del medico. E’ chiaro che, in futuro, l’approccio ai soggetti esposti potrebbe beneficiarsi dell’utilizzo di pratiche vaccinali che, a tutt’oggi, rappresentano un sogno ancora da realizzare!
3) Nei soggetti infetti, poi, sono molti gli studi che hanno dimostrato una corrispondenza diretta fra il rischio di contagio sessuale e la viremia plasmatica di HIV che, chiaramente, è ridotta o indeterminabile nei pazienti in terapia. In questo caso, quindi, l’approccio terapeutico non solo riduce la mortalità e la morbilità dell’infezione ma ne condiziona (fortunatamente!) anche la trasmissibilità . In quest’ottica è chiaro che, soprattutto i paesi del Terzo mondo, potrebbero in futuro beneficiare di una diffusione massiva delle terapie antiretrovirali che si trasformerebbero in veri e propri strumenti preventivi. Non sempre, però, vi è uno stretto rapporto fra viremie plasmatiche e viremie delle secrezioni genitali (liquido seminale o secreti vaginali) e non sempre tutti i farmaci antiretrovirali hanno una buona diffusione in questi liquidi (ancora una volta sembra che il tenofovir e l’emtricitabina siano fra quelli più “performanti”); ciò fa si che, anche nelle coppie discordanti in cui il partner ammalato è in terapia, non devono essere dimenticate le norme comportamentali ed i presìdi che condizionano la diminuzione del rischio infettivo.
Alfredo FRANCO
Dirigente medico infettivologo A.O.R.N. “Domenico Cotugno” — NAPOLI