Hanno partecipato alla tavola rotonda che si è svolta a Cison di Valmarino (TV) il 12.12.2013 i dottori: Gianni Ballarin, Riccardo Candido, Michele d’Ambrosio, Giuseppe Felace, Alessio Filippi, Maura Gardinali, Roberto Mingardi, Maria Antonietta Pellegrini, Isabella Pichiri, Cristiana Scaranna, Giorgio Trevisan, Milena Sira Zanon, Luciano Zenari, Carmela Vinci.
Obiettivo dell’incontro è stato discutere sulla insulinizzazione del paziente anziano.
I lavori, sono iniziati con una panoramica sulla popolazione anziana. La popolazione > 75 anni è in costante crescita dal 2004 al 2011, assorbe circa il 60% delle risorse sanitarie e comprende un 20% di pazienti con diabete di tipo 2. Inoltre, nel corso degli anni, si evidenzia una crescita della prevalenza di pazienti di sesso maschile ed un lieve aumento dell’età media e della durata media di diabete, accanto ad una riduzione costante dei pazienti in sola dieta e ad un aumento dei soggetti trattati con insulina.
L’analisi regionale documenta una notevole variabilità nella quotadi soggetti ultra settantacinquenni in carico presso le strutture specialistiche. In media, un soggetto su quattro appartiene a questa fascia di età, ma le percentuali oscillano fra il 30% nelle Marche e il 17,3% in Calabria. In generale, la quota di soggetti anziani tende ad essere più bassa nelle regioni del Sud.
Il monitoraggio dell’HbA1c rappresenta fin dal 2004 l’indicatore di processo più soddisfacente, con percentuali di esecuzione attorno al 90% in tutti gli anni. Nel corso degli anni si evidenzia un lieve incremento percentuale nel tasso di soggetti con almeno una misurazione durante l’anno. Viene inoltre sottolineato come un dato estremamente importante da monitorare siano gli episodi ipoglicemici, che si associano a importanti rischi di complicanze cardiovascolari. Infatti, una raccomandazione molto sottolineata durante tutta la giornata di lavori è quella di non abbassare troppo la glicemia negli anziani e di fissare quindi dei target terapeutici specifici per il paziente in base all’età e alle condizioni generali. Infatti, lo specialista diabetologo tende sempre più negli ultimi anni, nell’ultrasettantacinquenne, a un obiettivo di glicata compreso tra il 7% e l’8%, in accordo con i più recenti indirizzi di letteratura.
Gli annali AMD mostrano che è in crescita nell’anziano con DM2 la prescrizione di metformina, mentre diminuiscono le sulfaniluree, ma va sottolineato che è ancora troppo alto l’uso di glibenclamide, farmaco assolutamente non raccomandato in questi pazienti. Sorprende la quota marginale di prescrizione degli inibitori della DPP-IV (nel 2011 prescritti solo nell’1,4% dei pazienti di età > 75 anni), farmaci che secondo diverse linee guida sono da considerare di prima linea (in aggiunta o in alternativa alla metformina) nel trattamento di questi pazienti per la loro efficacia, tollerabilità e soprattutto per la sicurezza riguardo all’ipoglicemia. Buona parte di questa bassa percentuale di prescrizione può essere ascritta alla loro recente introduzione sul mercato (2008), ma probabilmente altri fattori, come il piano terapeutico da rinnovare periodicamente, il costo e, forse, il non pieno convincimento di una parte dei diabetologi, possono spiegare questo orientamento prescrittivo. Pochissimo utilizzati anche acarbose, che è comunque gravato da effetti indesiderati disturbanti per l’anziano, e glitazonici, che possono dare osteoporosi e scompenso.
D’altra parte, non del tutto giustificabile appare l’utilizzo degli analoghi del GLP-1 il cui uso risulta in aumento, anche se in una percentuale molto piccola di pazienti, considerando non solo che i dati di letteratura sul paziente anziano sono pressoché assenti, ma anche che l’uso di farmaci ad azione anoressizzante, con frequenti effetti gastrointestinali e che possono indurre importanti cali ponderali, dovrebbe essere ben soppesato in soggetti nei quali l’anoressia è un fenomeno tutt’altro che infrequente, così come la malnutrizione e la sarcopenia.
Per quanto riguarda gli aspetti nutrizionali, la Dr.ssa Pellegrini, coordinatrice del gruppo, raccomanda che, anche in termini di BMI, per l’anziano si accettino valori un po’ più alti. Inoltre, non sono opportune diete molto restrittive, ma piuttosto raccomandazioni caloriche di “buon senso”.
La discussione è passata poi alle terapie insuliniche, relativamente alle quali nel corso degli anni si è registrato un sostanziale aumento della percentuale di soggetti trattati con insulina basale e con insulina rapida, mentre si registra una marcata riduzione dei pazienti trattati con insuline intermedie o premiscelate. Complessivamente, si registra un aumento relativo del 48,5% nella quota di pazienti trattati con insulina. Questo dato si affianca ad una significativa riduzione della percentuale di soggetti non trattati con insulina nonostante valori di HbA1c superiori al 9% (-32.5%) e dei soggetti con valori di HbA1c elevati nonostante il trattamento insulinico (-20.1%).
Il confronto 2004-2011 dei pattern prescrittivi maggiormente utilizzati, evidenzia che oggi un quinto della popolazione anziana con DM2 è trattata con la combinazione metformina+sulfanilurea, mentre oltre uno su dieci è trattato o con schemi insulinici basati sull’impiego di basale+rapida o con metformina da sola. Rispetto al 2004, emerge l’aumento dell’utilizzo della metformina in monoterapia, la riduzione assoluta dell’utilizzo delle sulfaniluree da sole o in combinazione con metformina e soprattutto l’impiego dell’insulina rapida, assieme alla basale o in monoterapia.
I lipidi sono molto meno misurati dell’emoglobina glicata, tuttavia il monitoraggio annuale del profilo lipidico ha interessato nel corso degli anni un numero sempre più elevato di pazienti, con un incremento relativo del 38.8% durante il periodo di osservazione.
L’analisi temporale dei valori di colesterolo LDL documenta un marcato incremento nella percentuale di soggetti a target, con una crescita relativa di oltre l’80%. Parallelamente, si è assistito ad una riduzione importante della quota di soggetti con valori particolarmente elevati che ha raggiunto il 19,0% nel 2011, con un calo relativo del 48,8%. Se la scelta delle statine come farmaco principale nella cura della dislipidemia risulta in linea con i dati della letteratura e le linee guida, sorprendente è invece l’elevata percentuale di pazienti anziani trattati con omega-3 e ancora di più l’incremento percentuale negli anni dell’utilizzo di questo farmaco a fronte delle scarse evidenze scientifiche su una loro efficacia in termini di riduzione della mortalità e prevenzione degli eventi cardiovascolari. Di converso, sottoutilizzati risultano essere i fibrati che presentano evidenze scientifiche sicuramente più solide degli omega-3.
Per quanto riguarda il controllo pressorio, la percentuale di pazienti che presentavano almeno una misurazione della pressione arteriosa nel corso dell’anno non si è modificata in modo sensibile fra il 2004 e il 2011. Persiste una quota di circa un paziente su cinque con dato non registrato. Il livello di controllo pressorio è migliorato nel corso degli anni. La quota di pazienti a target è cresciuta in termini relativi di circa il 30%, mentre si è ridotta di un terzo la percentuale di soggetti con valori superiori o uguali a 150/90 mmHg. Il miglioramento dell’approccio terapeutico all’ipertensione nei soggetti anziani è ulteriormente documentato dal dimezzamento della percentuale di pazienti non trattati nonostante valori pressori elevati. Di converso, pur nel quadro di una sostanziale riduzione, circa un terzo dei pazienti presenta valori pressori insoddisfacenti nonostante il trattamento, indicando apparentemente la necessità di una maggior appropriatezza nella scelta della terapia antipertensiva e di una maggior intensità terapeutica.
Il monitoraggio della funzionalità renale risulta lievemente migliorato nel corso di otto anni; infatti, la quota di soggetti sottoposti al monitoraggio è cresciuta in termini relativi del 17,6%. Non si registrano sostanziali variazioni temporali nella percentuale di soggetti con micro/ macroalbuminuria o con riduzioni marcate del filtrato glomerulare.
Il miglioramento dell’appropriatezza terapeutica è documentato dalla progressiva riduzione della percentuale di pazienti non trattati con farmaci che agiscono sul sistema renina-angiotensina nonostante la presenza di micro/macroalbuminuria.
In conclusione:
• Ben oltre la metà (60%) dei pazienti assistiti dai Centri Diabetologici italiani presenta un’età > 65 anni.
• Oltre i 75 anni è minore la percentuale di soggetti monitorati per profilo lipidico e pressione arteriosa.
• All’aumentare dell’età aumenta la percentuale di soggetti in trattamento con farmaci secretagoghi (sulfaniluree o glinidi) o con insulina.
• L’uso di glibenclamide risulta più frequente nell’età avanzata.
Nell’anziano diabetico serve un’accurata personalizzazione delle cure: l’AMD sta mettendo a punto un algoritmo di trattamento per l’anziano fragile con DM2:
Casi clinici
Vengono presentati e discussi collegialmente alcuni casi clinici reali, relativi al trattamento di pazienti anziani con fallimento secondario alla terapia con ipoglicemizzanti orali, che hanno richiesto l’insulinizzazione.
Ne riportiamo 3 a titolo esemplificativo:
Trattamento con insulina basale nell’anziano, dati clinici e real life
Nell’anziano il raggiungimento di una glicemia normale va perseguito insieme ad altri obiettivi primari:
• Benessere soggettivo con eventuale eliminazione della sintomatologia diabetica
• Conservazione o ripristino di un normale metabolismo energetico
• Prevenzione crisi ipoglicemiche
• Prevenzione complicanze metaboliche acute
• Rallentamento complicanze d’organo
In particolare, gli obiettivi principali sono ridurre il rischio d’ipoglicemia e la variabilità glicemica.
Le insuline detemir e glargine hanno dimostrato, nei principali trial clinici di confronto, un’efficacia sovrapponibile all’insulina NPH, ma con una minore incidenza di ipoglicemie, consentendo anche di raggiungere target più stringenti, senza aumentare il numero di episodi ipoglicemici.
Inoltre, la vecchia NPH era anche caratterizzata da un’elevata variabilità intra-soggetto, che si è molto ridotta con detemir e glargine. Detemir ha evidenziato minori effetti di incremento ponderale, un dato confermato anche a livello sperimentale.
Anche gli analoghi rapidi, pur non dando vantaggi in termini di HbA1c, sono vantaggiosi in termini di ipoglicemie.
Vengono presentati alcuni risultati di una survey sottoposta ai diabetologi italiani:
Conclusioni:
è vero che esistono delle barriere all’utilizzo e all’aderenza alla terapia insulinica, ma la survey ha evidenziato che i medici sono più preoccupati e mostrano maggiori resistenze dei pazienti.
L’ipoglicemia nell’anziano è un importante fattore di rischio per sindrome geriatrica e l’essere anziani rappresenta di per sé un fattore di rischio per ipoglicemia.
Epidemiologicamente, gli episodi ipoglicemici sono più frequenti negli anziani, come confermato da diversi trial clinici. Dal punto di vista terapeutico, l’insulina e gli ipoglicemizzanti orali sono i principali responsabili dei ricoveri in emergenza per episodi ipoglicemici.
Anche le politerapie, tanto frequenti nel paziente anziano, rappresentano un fattore di rischio, per esempio regimi contenenti ACE-inibitori, betabloccanti e anche levofloxacina.
Nell’anziano gli episodi ipoglicemici sono spesso asintomatici esotto-riportati/sotto-diagnosticati. Si manifestano spesso in modo atipico rispetto all’adulto, cioè con sintomi neurologici e/o psichiatrici, alterazioni del visus, scoordinazione motoria o alterazioni dell’equilibrio.
Episodi di scadimento cognitivo negli anziani sono frequentemente mal interpretati, ma possono essere dovuti a ipoglicemia. Inoltre, le ipoglicemie nell’anziano possono essere pericolose, aumentando anche il rischio di cadute e fratture. Sono state anche riportate associazioni traipoglicemia, stati depressivi e scadimento della qualità della vita.
Per questo, come già è stato detto in precedenza, i valori glicemici devono essere mantenuti più alti nel diabetico anziano, anche a 90-120 mg/dL. Le linee guida EUROAGE raccomandano che il primo obiettivo, nel diabetico anziano, deve essere evitare le ipoglicemie e il primo strumento, per ottenere questo, è personalizzare l’obiettivo glicemico.
Deve essere fatta un’educazione preventiva del paziente e molto accurata deve essere la scelta farmacologica.
Gli standard italiani per la cura del diabete mellito raccomandano:
• Nei diabetici anziani gli obiettivi glicemici dovrebbero essere individualizzati. Se le condizioni generali sono relativamente buone, il valore di HbA1c potrà essere compreso tra 6,5% e 7,5%. (Livello della prova VI, Forza della raccomandazione B)
• Negli anziani fragili (con complicanze, affetti da demenza, con pluripatologie, nei quali il rischio di ipoglicemia è alto e nei quali i rischi di un controllo glicemico intensivo superino i benefici attesi) è appropriato un obiettivo meno restrittivo, con valori di HbA1c compresi tra 7,5% e 8,5%. (Livello della prova VI, Forza della raccomandazione B)
Per ridurre il rischio di ipoglicemia nel paziente diabetico anziano, sono necessari:
• Una valutazione globale del paziente per identificare possibilifattori di rischio predisponenti
• Obiettivi glicemici personalizzati per ciascun paziente
• Approccio di cura coordinato per identificare, trattare e prevenire le ipoglicemie
• Selezione “giudiziosa” dei farmaci antidiabetici
• Educazione del paziente e dei familiari a riconoscere e trattare l’ipoglicemia
I nuovi algoritmi terapeutici dell’AMD per l’anziano fragile prevedono, come indicato nella figura 1, prevedono come primo step la metformina, se non specificamente controindicata, oppure i DPP4-inibitori, o le sulfaniluree a basso rischio o l’acarbose.
Se la metformina non è sufficiente, si aggiunge una delle altre opzioni. Se ancora non si ottiene un buon compenso, bisogna aggiungere insulina basale:
• Metformina + DDP4-i + Insulina Basale
Opzioni alternative sono:
• Metformina + SU a basso rischio ipo + Insulina Basale
• Metformina + Acarbosio + Insulina Basale valutando la prosecuzione degli inibitori DPP4, di sulfonilurea a basso rischio ipoglicemia o acarbosio
Se gli obiettivi metabolici ancora non vengono raggiunti:
• Metformina + Insulina o Basal-Plus o Premixed b.i.d. o Basal-Bolus
Effetti cardiovascolari delle ipoglicemie
E’ stato recentemente evidenziato che le ipoglicemie severe non interessano solo il diabete di tipo 1, ma anche il tipo 2. Inoltre si verificano non solo per livelli bassi di HbA1c, ma anche per valori alti.
Non ci sono trial specifici che abbiano avuto come endpoint primario il rischio cardiovascolare, tuttavia i trial clinici nel loro complesso forniscono numerosi indizi di una correlazione tra ipoglicemie e complicanze cardiovascolari.
Nello studio ACCORD si è riscontrata una correlazione tra mortalità e ipoglicemie severe e tra ipoglicemie e probabilità di eventi CV. Lo studioADVANCE ha mostrato una maggiore mortalità a 5 anni nei soggetti con ipoglicemie severe, uno studio di Taiwan su 77.000 pazienti ha evidenziato una chiara correlazione dell’ipoglicemia con gli eventi CV maggiori. Lo studio NICE_SUGAR, pubblicato sul New England, oltre a confermare la correlazione tra ipoglicemie e mortalità, ha evidenziato che una glicemia inferiore a 180 mg/dl è risultata associata ad una minore mortalità rispetto ad un target compreso fra 81 e 108 mg/dl.
L’ipoglicemia nei diabetici si associa a un aggravamento della vasculopatia, dell’ischemia miocardica, può scatenare aritmie, allungare l’intervallo QT, promuovere l’aterosclerosi. I pazienti a maggior rischio di sviluppare ipoglicemie severe sono quelli con:
• Età più avanzata
• BMI basso
• Ridotta funzione renale
• Demenza
• Storia di complicanze microvascolari
• Pregressi eventi ipoglicemici
Quindi è molto importante modulare la strategia di intervento ipoglicemizzante soprattutto nei pazienti cardiopatici a rischio. In una metanalisi di 24 trial sull’uso di ipoglicemizzanti orali, è emerso che sulfaniluree e glinidi sono i farmaci associati al rischio più elevato di ipoglicemie.
E’ necessario personalizzare gli obiettivi metabolici e soprattutto i tempi di raggiungimento degli obiettivi. In un paziente anziano a rischio può essere opportuno allungare i tempi per raggiungere il target, anche perché si è visto che maggiore è il tempo di raggiungimento dell’obiettivo, minore è la mortalità. La cosa più importante è evitare l’overtreatment.
Per quanto riguarda la terapia insulinica:
• utilizzare insuline che possano uniformarsi il più possibile al profilo fisiologico dell’insulino-secrezione
• utilizzare insuline con alta riproducibilità d’azione
• utilizzare insuline con basso rischio di indurre manifestazioni ipoglicemiche
Conclusioni:
Le evidenze scientifiche suggeriscono l’ipotesi che l’ipoglicemia sia un evento deleterio per la comparsa e progressione delle complicanze CV nel paziente diabetico; il diabetologo dovrebbe tenerne conto e scegliere strategie terapeutiche per evitare (quanto più possibile) l’ipoglicemia
CONCLUSIONI
Il paziente diabetico anziano fragile è ad alto rischio di ipoglicemie, spesso misconosciute e sottodiagnosticate, che possono avere anche conseguenze gravi (cadute, scadimento cognitivo, ricoveri, ecc). I pazienti diabetici anziani e fragili in trattamento con sufaniluree a lunga durata d’azione o con terapia insulinica intensiva sono ad alto rischio di ipoglicemia e il rischio aumenta nei politrattati, malnutriti, istituzionalizzati.
Nel diabetico anziano, l’obiettivo metabolico deve essere personalizzato e meno stringente rispetto all’adulto e va raggiunto in tempi abbastanza prolungati. Deve essere implementata una strategia educativa con i pazienti e i loro care-giver, per cercare di ridurre il rischio ipoglicemico.