Mentre cammino di giorno lungo le strade della citta’ mi accorgo della stretta di malinconia e di rabbia che mi pervade a poco a poco.Tornare dopo venti anni di duro lavoro negli Stati Uniti ed assistere allo spettacolo drammatico di una Napoli che brucia tra i roghi e’ una sensazione di sconfitta, la riprova di una citta’ schiacciata dalla logica del clientelismo che, nonostante il trascorrere degli anni non trova in se stessa la forza del riscatto, quella che viene da una mentalita’ meritocratica, e rimane piegata, ma sempre anelante di poter mostrare al mondo il suo carattere.Cammino per le strade, respirando l’odore acre dell’immondizia che la’ dove i cumuli sono piu’ estesi si fa piu’ intenso e come uomo di scienza non posso non trovare eccessi di allarmismo in quanti si ostinano a cercare un nesso di causalita’ tra i cumuli di rifiuti e l’insorgenza dei tumori.Se l’immondizia e la sua lavorazione non causano il cancro, almeno per quanto riguarda i rifiuti urbani, diverso e’ il discorso per quelli tossico-nocivi che, nascosti illegittimamente sotto terra o dispersi in discariche abusive, sprigionano sostanze dannose alla salute, determinando un incremento nell’insorgenza dei carcinomi.Tra le sostanze piu’ nocive ricordiamo il cromo esavalente che produce difficolta’ respiratorie e danni alla cute, ai polmoni e reni, ma anche il nichel, il piombo, lo zinco, il rame il cobalto, gli scarti di vernici.Tra i principali responsabili di questa catastrofe ambientale la malavita organizzata che, con la complicita’ di una classe politica corrotta, e di una opposizione inesistente ha dato vita ad un vero e proprio business “contra legem”.Da comune cittadino ho deciso di documentarmi e gia’ solo navigando su internet ho scoperto inimmaginabili notizie: dal Nord importiamo tonnellate di rifiuti velenosi, che gli industriali settentrionali, eludendo le costose procedure di smaltimento, ci trasferiscono su grandi camion e ho appreso della nascita di una nuova professione quella dello “stakeholder”: giovani laureati nelle piu’ prestigiose universita’ italiane, preparano con straordinaria abilita’, a fronte di cospicui compensi, false certificazioni con le quali i rifiuti velenosi ottengono il lasciapassare di “comune spazzatura” per arrivare sino a noi.Giunti nel nostro Sud, costipati nelle viscere della nostra terra, inquinano le falde acquifere, avvelenano i nostri prodotti agricoli, il nostro bestiame fino a porre in serio pericolo la nostra stessa salute.Un minaccioso mare di rifiuti sepolto che oltre a sprigionare odori nauseabondi trasforma le nostre fertili terre in lande desolate e prive di speranza.Da anni, per superare l’emergenza rifiuti, si ricorre al fuoco: alti cumuli che ardono sprigionano la diossina che, resistente alla degradazione chimica e biologica, si accumula cioe’ si “somma” nell’organismo, causando in alcuni casi un incremento di tumori al polmone e alla pleura.Ma c’e’ di piu’! Oltre al rapporto rifiuti tossici-cancro non va sottaciuto quello tra rifiuti e malattie infettive: i ratti rappresentano un problema reale soprattutto in condizioni alimentari per loro favorevoli che ne aumentano la diffusione con prodigiosa velocita’.Rabbia, leptospirosi, peste, tifo, toxoplasmosi e lesmaniosi solo alcune della malattie trasmesse dai topi.Ci troviamo, allora, in una situazione delicata che coinvolge milioni di persone e che in quanto tale non puo’ prestare il fianco a generalizzazioni, a speculazioni e a risposte che non si basino su rigorosi dati scientifici e su riscontri effettivi.Il futuro dicono sia nella costruzione dei termovalorizzatori, una parola rassicurante, che ispira la risoluzione di tutti i problemi collegati ai rifiuti. Questi inceneritori sembrano essere “macchine positive” per il solo fatto di trasformare i rifiuti in energia. Tuttavia, e’ certo che accentuano l’effetto serra, innalzando la temperatura dell’atmosfera e che immettono nell’aria circa 250 sostanze diverse, i cui effetti sulla popolazione non sono stati ancora verificati da studi epidemiologici.Certamente rappresentano una soluzione ma il buon senso dovra’ condurci a dimensionare la loro costruzione alle effettive esigenze della popolazione. Il rischio, infatti, e’ quello di compiere investimenti considerevoli per la loro costruzione che, una volta partita la raccolta differenziata e il riciclaggio di rifiuti, potrebbe subire un forte ridimensionamento. In questo caso, non potendo lavorare a pieno regime come richiedono, comporterebbero essi stessi un problema: quello delle loro dismissioni.Ma le emergenze della Campania non si limitano ai rifiuti. La situazione e’ quanto mai grave anche in altri campi.Quello che piu’ mi riguarda da vicino si chiama ricerca scientifica e soprattutto ricerca oncologica.L’esperienza fatta in questi ultimi quattro anni, in cui mi sono ritrovato a lavorare nel mio Paese mi ha dimostrato che i fondi destinati alla ricerca oltre ad essere esigui sono anche male amministrati.La distribuzione tra il Nord e il Sud del Paese, oltre ad essere iniqua, non tiene in considerazione che dietro quella disparita’ vi sono vite umane.Non e’ un mistero che la maggior parte dei proventi raccolti durante le maratone televisive o nel corso delle campagne di sensibilizzazione poste in essere nelle piazze italiane rimpinguano gli enti di ricerca del Nord.Il risultato e’ che per trovare una cura, ogni anno, un milione di persone ammalate, siciliani, calabresi e campani, sono costrette a migrare verso le strutture ospedaliere del Nord per essere curate ed ottenere quel diritto che viene loro negato nella regione di origine, con costi elevati per la sanita’ pubblica e per le famiglie.Questo fenomeno di disomogeneità ’ nella distribuzione dei fondi si delinea, ostinatamente, persino nell’assegnazione di quelli della Comunita’ Europea.Come membro della Commissione Salute per il VII Programma Quadro non posso sottacere che l’Italia e’ il “fanalino di coda” dell’Europa.Il numero dei progetti approvati e’ ancora molto esiguo rispetto a quello di altri Paesi europei come la Germania, la Francia, l’Olanda.La percentuale del successo italiano, infatti, si aggira intorno al 15%, ben al di sotto della media europea che si attesta intorno al 25%- 26%.E di queste somme, ancora una volta, solo una parte minima arriva al Sud.L’inevitabile conseguenza si chiama “fuga dei cervelli”: menti brillanti si trasferiscono nel Nord del Paese o addirittura al di la’dell’oceano mentre il nostro Stato continua ad investire denaro e risorse in strutture all’avanguardia che non saranno mai operative.L’unica soluzione possibile e’ quella di investire nelle risorse umane.Sono gli uomini quelli che creano i programmi. La risposta sono i giovani, che vanno aiutati e posti nelle condizioni di produrre.Non e’ pensabile che gli italiani siano spinti a credere che negli ultimi cinquanta anni il loro Paese abbia prodotto un numero di talenti scientifici cosi’ esiguo da non poterli contare nemmeno sulle punta delle dita di una mano!Cosi’, a chi mi chiede ricette risolutive rispondo che per prima cosa e’ necessaria la volonta’ di voler fare, di rimboccarsi le maniche e di lavorare, e a chi mi dice che il Sud dovra’ maggiormente adoperarsi rispondo che le condizioni del nostro Mezzogiorno sono quelle di un intero paese: l’Italia.Rimane, tuttavia, innegabile che il Sud deve essere validamente aiutato, e tanto anche perche’ le vicende storiche ci insegnano e ci stanno insegnando che molti hanno tratto enormi vantaggi dalla sua debolezza.Forse, per dirla con parole di Gabriele De Rosa: “Le malattie endemiche sono solo la manifestazione piu’ visibile di una malattia ancor piu’ profonda, che rende affannoso il respiro del Sud: la debolezza organica di una classe dirigente che ha accettato la staticita’ sociale del Mezzogiorno come premessa ineluttabile e necessaria per garantire una gestione protetta e paternalistica del potere locale”.Si tratta allora di decidere di percorrere una strada, quella che passa per l’individuazione degli illeciti e delle responsabilita’.
Antonio Giordano
Articolo pubblicato sul Corriere della sera in data 3 marzo 2008