Negli ultimi decenni la scienza medica è riuscita a produrre le condizioni per una sopravvivenza artificiale del corpo umano, tracciando un nuovo confine tra la vita e la morte, non più ancorata alla cessazione del controllo delle funzioni fisiologiche da parte dell’individuo. Tutto ciò ha introdotto un nuovo dibattito sul substrato etico di tali esperienze scientifiche. L’argomento si è imposto con grande forza con il caso di Eluana Englaro, in coma profondo da 16 anni. Il padre, dapprima, ha ottenuto dalla magistratura italiana l’autorizzazione a che la giovane donna venisse staccata dai mezzi artificiali. Quindi, a distanza di pochi giorni, registrava l’intervento, di senso contrario, del Procuratore generale, nonché l’iniziativa del Parlamento italiano di sollevare il conflitto di attribuzioni, rivendicando al potere legislativo una sorta di diritto di esclusiva sulla materia. Questa paradossale e contraddittoria successione di pronunciamenti da parte di due dei poteri dello Stato trova la propria ragione di essere in un vuoto normativo che troverebbe il proprio naturale e legittimo completamento nella previsione del cosiddetto testamento biologico, già disciplinato e operativo in altri paesi come Usa, Gran Bretagna, Francia e Spagna, a cui ciascuno di noi potrebbe affidare le proprie volontà , nella materia in oggetto, quando è ancora nella piena disponibilità delle proprie capacità psicofisiche. L’assenza di un simile strumento normativo apre le porte alla sterile speculazione che tanto spazio occupa nelle pagine dei giornali italiani degli ultimi due mesi: fiumi e fiumi di inchiostro intorno ad un’ esistenza che è stata, e non è più, e ad un corpo che subisce un ulteriore forma di accanimento oltre quello terapeutico: quello di chi stampando e diffondendo foto scattate 15 anni fa, ancora il corpo della giovane ad una dimensione in cui non c’è più né lo spazio né il tempo e quindi la vecchiaia e la morte. In passato tutto questo sarebbe stato stigmatizzato come ybris, tracotanza dell’uomo rispetto ai precetti e ai confini divini, oggi viene chiamato progresso. Un progresso che prolifera nell’ignoranza e nello faziosità di chi deve affermare, comunque, un’opinione, animato dal desiderio di sottrarre terreno alla parte avversaria piuttosto che conquistarlo ai propri ideali. Questo ossimoro prolifera in un paese in cui nessuna scelta è riuscita a sottrarsi dall’ingerenza clericale o dalla reazione alla stessa. La sensazione è quella di trovarsi davanti al solito “tormentone estivo”, con buona pace dell’unica componente nobile della vicenda, rappresentato dal dolore delle persone coinvolte in prima persona. Non vi è spazio per il confronto ed il dialogo costruttivo in un agone dove ogni singola voce si esprime nella convinzione di alimentare la propria esistenza mediatica con la volgarità e con la contestazione fini a sé stesse. Così si assiste, impotenti, alla spettacolarizzazione dei processi secondo alcuni impropriamente utilizzati per scavare a ritroso nella vita della persone per comprendere quale fosse la loro volontà quando ancora potevano godere di un corpo e/o di una mente sani. Nuovamente si contesta l’intervento di supplenza dei giudici che non si dovrebbero occupare di “certe materie”, viceversa dovrebbero rimanere in attesa di un intervento normativo che codifichi la materia. In realtà , il potere giudiziario è chiamato, soprattutto in questo particolare ambito della giurisdizione, detta volontaria, ad occuparsi della vita delle persone individuando la strada attraverso la quale possono essere affermati i loro diritti costituzionalmente protetti. Nel fare questo devono fare i conti con quello che i tecnici chiamano iure condido, ossia il diritto vivente; che è cosa diversa dallo iure condendo che è quello che si vorrebbe essere scritto. Pertanto, partendo dal presupposto che il testamento biologico non esiste nello Stato italiano non vi è spazio per gli scandali riguardanti la salvaguardia di una persona allorché venga ricostruita ex post la sua volontà . Il principio affermato dalla Suprema Corte è il seguente: “… senza il consenso informato l’intervento del medico è, al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità , sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente… Il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma … altresì di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale…. Nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla persona dell’incapace, la rappresentanza del tutore è sottoposta a un duplice ordine di vincoli”…  Alle contestazioni mossegli il primo presidente della Suprema Corte, Vincenzo Carbone, così rispondeva: …” la Corte di Cassazione non ha in alcun modo travalicato il proprio specifico compito istituzionale di rispondere alla domanda di giustizia del cittadino, assicurando la corretta interpretazione della legge, nel cui quadro si collocano in modo primario i principi costituzionali e la Convenzione di Oviedo…” Nella vicenda di Eluana Englaro, non si può non prendere le mosse dalla constatazione che ci si trova davanti a diverse vite. Ci sono quelle dei parenti che stanno soffrendo, per la percezione che hanno del dolore vissuto dalla propria cara, per il disagio che sono costretti a vivere quotidianamente, per la loro vita sospesa e, soprattutto, per la circostanza che non avranno mai la possibilità di elaborare e metabolizzare il loro lutto. Li si vuole privare del diritto di realizzare e concretizzare la definitiva perdita del loro caro, li si vuole privare di un corpo su cui piangere e soprattutto di un momento che segni un prima e un dopo rispetto alla loro tragica vicenda. Poi c’è un corpo che mutua da una macchina la propria vita, alla quale non si addice più l’attributo “umano” avendo perso, in modo irrecuperabile, la consapevolezza e coscienza della propria esistenza. “Teos monos sofos estì”, proclamava il filosofo Pitagora: Dio solo è sapiente. Sono lontani da tale verità coloro che negano il diritto di morire allorché siano cessate le funzioni biologiche in totale spregio della dignità umana in una ricodificazione delle leggi della natura. Ci poniamo una domanda: cui prodest ? Ma siamo certi che il testamento biologico, così come emerso da questa dolorosa vicenda, sia la via più corretta dal punto di vista della scienza bioetica. La bioetica è estremamente complessa: è l’ incontro interdisciplinare, rispettoso della complessità umana, della biologia, della medicina, della psicologia, della filosofia, della teologia, del diritto, della politica. Richiede altissima competenza. Naturalmente, il punto di convergenza tra tutte queste discipline deve avvenire nell’ assoluto rispetto della fragile complessità umana e delle molteplici sensibilità .
Antonio Giordano* e Alessandro Bovicelli**
*Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Universit� di Siena, Italia **Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Università di Bologna, Italia