Il professor Antonio Giordano è Direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine Temple University Philadelphia, PA & University of Siena. Un patologo. Uno scienziato.
Gli abbiamo fatto alcune domande, a nostro parere fondamentali, per capire come si sia arrivati alla situazione di un mondo chiuso in casa a cauda di un virus.
1) Il mondo sa da lungo tempo che le pandemie sono una concreta possibilità e che i coronavirus erano e sono una grande minaccia. La Sars nel 2003 fu un avviso. C’è stata una drammatica sottovalutazione?
Oggi sappiamo che i virus sono capaci di effettuare un salto di specie, conosciuto dagli addetti ai lavori come “spillover”, responsabile non solo del passaggio del virus da una specie all’altra, ma anche della sua stessa stabilizzazione e diffusione tra gli individui della nuova specie. Tutto ciò, unitamente all’incremento della densità della popolazione, alle abitudini di viaggio mondiali, al cambiamento climatico, favorisce l’emergere di vecchi e nuovi agenti patogeni che comportano il rischio di diventare minacce pandemiche. Pur non essendo possibile prevedere esattamente quale agente, quando ed in che modo colpirà, possiamo, tuttavia, prepararci a tale evento. Per prepararsi c’è bisogno di molto lavoro da parte delle istituzioni per implementare piani di prevenzione, come, ad esempio, la chiusura dei mercati asiatici di animali selvatici che potrebbe mitigare le minacce dei patogeni zoonotici. Negli ultimi anni, la rapida diffusione di infezioni gravi come l’HIV, la SARS, l’Ebola e lo Zika hanno messo in luce la necessità urgente di una preparazione globale per le pandemie. Il virus SARS-CoV-2, che ha dato il via alla pandemia, ha trovato l’intero mondo impreparato. Si è sottovalutato queste insieme di realtà ed evidenze.
Confrontando la pandemia Covid-19 e l’epidemia SARS del 2003, poi, troviamo alcuni aspetti comuni: le due epidemie sono state causate da coronavirus, entrambe le diffusioni hanno avuto origine in un mercato, in entrambi i casi c’è stato spillover. Rispetto alle differenze, invece: i due coronavirus, pur appartenenti alla stessa famiglia, sono caratterizzati da evoluzioni diverse, il nuovo si diffonde più rapidamente della SARS. Anche il periodo di incubazione è diverso: da 3 a 7 giorni per la SARS e da 7 a 14 giorni per SARS-CoV-2. Ciò potrebbe aver influenzato la diffusione: infatti, nel 2003, nonostante la preoccupazione dei medici, la comunicazione dell’emergenza avvenne con grave ritardo; questa volta, nonostante, la prima allerta sia arrivata a fine dicembre 2019, non è bastata a contenere l’epidemia. Nel 2003, inoltre, non fu dichiarata l’emergenza sanitaria globale, non esistendo ancora le norme specifiche, istituite poi nel 2005. La malattia Covid-19, poi, si è ingannevolmente presentata come molto infettiva ma poco mortale. Probabilmente, queste rappresentano alcune delle motivazioni per cui è stata sottovalutata la sua diffusione, estremamente rapida.
Covid-19 è tutt’altro che la classica influenza di stagione: oggi costringe decine di migliaia di persone a necessitare di cure intensive e di un elevatissimo numero di personale medico e paramedico dedicato. Se si fosse intervenuti tempestivamente, gestendo meglio il contenimento sociale, imponendo da subito il lockdown, sicuramente staremmo assistendo a scenari diversi. Ora, però, non è il momento di cercare colpevoli, è il momento di agire, di studiare e di anticipare il virus. La pandemia avrà pesanti ripercussioni sull’economia mondiale e nessuno potra’ ignorare questo aspetto. Le epidemie, spero ora sia chiaro a tutti, non sono solo ipotesi, ma drammatica realtà.
2) È vero che le ricerche più promettenti di farmaci o vaccini contro il Covid 19 partono dalle ricerche sulla Sars a suo tempo abbandonate visto che quell’allarme rientrò in breve tempo?
E’ vero che sono in atto tantissimi studi scientifici volti all’identificazione sia di un vaccino efficace e sicuro, che di farmaci mirati alla neutralizzazione specifica del nuovo virus SARS-CoV-2. L’obiettivo, stavolta sicuramente mondiale, è quello di fermare il prima possibile la pandemia, per cui se quanto si è imparato dalla SARS e dalla Mers può essere utile a stoppare il virus allora è sicuramente un buon approccio scientifico da sfruttare. Ottimi progressi su un possibile vaccino sono stati, infatti, condotti dall’Università di Pittsburg, dove a suo tempo si era lavorato molto e bene sulla Sars del 2003. E quelle ricerche di allora stanno oggi permettendo di procedere spediti verso un possibile e efficace vaccino contro il coronavirus.
Per il passato, i vaccini convenzionali, sviluppati attenuando o inattivando il rispettivo patogeno, hanno ridotto con successo una serie di malattie infettive, tuttavia, i metodi stabiliti potrebbero non essere sempre adatti o addirittura fattibili in situazioni di epidemia. Valutando ciò che attualmente si fa per il virus dell’influenza, -poiché il verificarsi di una pandemia influenzale annuale è quasi certo-, pur essendo difficile prevedere le caratteristiche del virus e la gravità dei sintomi che induce, sono state sviluppate metodologie in grado di formulare vaccini antinfluenzali annuali e per ceppi virali predefiniti. Questo non è stato fatto, invece, per la SARS. Un aspetto notevole dell’epidemia di SARS fu l’efficacia delle misure di contenimento che bloccarono la diffusione della malattia e, probabilmente, per questo, gli sforzi per sviluppare un vaccino contro SARV-CoV furono interrotti. Quello che possiamo dire oggi è che le passate pandemie hanno aumentato la consapevolezza delle minacce globali alla salute umana ed è quindi fondamentale promuovere lo sviluppo di piattaforme di vaccini in grado di affrontare le sfide di situazioni di epidemia.
3) Se questo è vero, è grave che quelle ricerche siano state abbandonate. Saremmo stati più attrezzati a rispondere all’attuale epidemia se ci fosse stato già un vaccino o un farmaco contro la Sars? E’ forse vero che allora la ricerca e la sperimentazione si interruppero perché purtroppo anche la ricerca è costretta in logiche di mercato?
L’interruzione di una ricerca scientifica è sempre una cosa grave.
Cosa successe all’epoca della SARS? Una task force coordinata dall’OMS composta da rappresentanti di una dozzina di laboratori in tutto il mondo, nel giro di due settimane identificò il coronavirus SARS (SARS-CoV) come agente eziologico e subito dopo fu identificato l’enzima Angiotensina 2 (ACE2) come il suo recettore funzionale. Dopo l’identificazione dell’agente, l’implementazione di specifici test diagnostici e l’isolamento di individui infetti la diffusione di arrestò. Intanto, si dimostrarono efficaci anche alcune strategie antivirali, come l’uso dell’Interferone-α, così come furono vari gli approcci promettenti per lo sviluppo del vaccino anti-SARS. Tuttavia, poiché la malattia fu rapidamente gestita, si interruppero ulteriori studi e test clinici sui candidati al vaccino. Poi mancarono i fondi e le priorità divennero altre. I grandi investitori sia privati che istituzionali non videro più un ritorno ai loro sforzi. Il blocco di quelle ricerche ci ha privati di una mole di informazioni che oggi avrebbero potuto aiutarci e rendere più rapida l’offerta di cure all’attuale pandemia.
Cosa sta succedendo oggi? E’ stata isolata la sequenza virale, si sta implementando la sensibilità dei test diagnostici, si sta studiando per ottenere una strategia terapeutica mirata al trattamento specifico del SARS-CoV-2 mentre si testano farmaci “off-label”, il cui utilizzo è già approvato e che potrebbero attenuare i sintomi della Covid-19.
In che modo nozioni sul virus della SARS avrebbero potuto agevolarci? I virus si trasformano a proprio vantaggio, in modo da poter continuare a replicarsi, quindi conoscere approfonditamente i meccanismi di replicazione di un determinato virus è molto utile. Ma è sempre d’obbligo l’utilizzo del condizionale, Covid-19 è una malattia ancora giovane per trarre conclusioni. Possiamo, invece, omettere l’uso del condizionale quando affermiamo che la ricerca scientifica va sempre incoraggiata, supportata ed implementata. Non ci si può ricordare del suo fondamentale ruolo solo all’occorrenza, come accadde oggi per la SARS.
4) Tutti cercano un vaccino. Tutti cercano un farmaco. Tutti propongono farmaci non specifici dichiarati “miracolosi”. Possono esserci speculazioni in questo caos?
Sia che si tratti di un vaccino o di un farmaco specifico è necessario studiare la malattia per trovare la cura. Per poter parlare di vaccino, poi, abbiamo bisogno di sapere se le persone guarite sviluppano anticorpi diretti anti- SARS-CoV-2 e se questi siano in grado di bloccare il contagio. Per farlo abbiamo bisogno della sperimentazione animale e di tutta la fase pre-clinica e clinica. Per ottenere l’antidoto tanto desiderato sono necessarie tempistiche adeguate a garantire l’efficacia e, contemporaneamente, la sicurezza della popolazione mondiale. Quello che si fa oggi è solo utilizzare farmaci già approvati per altre patologie. E’ importante ribadire, però, che NON possono essere sponsorizzati farmaci senza alcuna evidenza scientifica di sicurezza e di efficacia. Il Favipiravir, noto a tutti con il nome commerciale Avigan, ne rappresenta un chiaro esempio. Il farmaco utilizzato in Giappone, e non in Europa e negli USA, è un antivirale il cui meccanismo d’azione è riconducibile all’inibizione selettiva della RNA-polimerasi RNA-dipendente del virus, che determina l’arresto del ciclo replicativo di alcuni – non si sa precisamente quali – virus a RNA. La sua fama nasce da un video diffuso tramite web e non da fonti scientifiche. Il video si diffonde in maniera “virale” e molte istituzioni e case farmaceutiche cominciano ad esercitare pressioni all’AIFA affinchè venga sperimentato. Ma del farmaco non si conosce abbastanza, anzi, con certezza si conoscono alcuni suoi effetti collaterali. Si è data forma, quindi, ad un protocollo sperimentale che, comunque, richiede ingenti risorse economiche, scarse in questo periodo. Questa speculazione, in questo momento drammatico, quanto potrebbe costare in termini economici e in termini di posti letto in terapia intensiva? L’appello degli scienziati è sempre quello, ovviamente, di pensare al bene comune.
5) I tempi per la scoperta, i test e la produzione di un farmaco o di un vaccino sono lunghi. Sarebbero minori se queste fasi (ricerca, sperimentazione e produzione) fossero affidate non al mercato ma a uno sforzo globale, al mettere insieme risorse, competenze e saperi su scala mondiale? Cioè a una risposta comune e cooperativa di tutti i paesi del mondo?
Come anticipato nella risposta precedente i tempi per la produzione di un farmaco necessitano di varie fasi precliniche e cliniche, più o meno lunghe ma necessarie. Ad oggi sono diversi i progetti di vaccino anti Sars-CoV2, ma se vogliamo massimizzare le possibilità di successo per porre fine alla pandemia da Covid-19, bisogna che ci sia uno sforzo coordinato globale. In questo momento è necessaria la collaborazione e l’unità di tutti. Verrebbero massimizzate le risorse e si accorcerebbero i tempi nei vari segmenti e, innanzitutto, in quello della produzione e distribuzione del vaccino o del farmaco che deve necessariamente, nell’interesse globale, essere diversa da una piattaforma puramente aziendale per assicurare a tutti, e in tempi brevi quanto verrà scoperto.
Lo stesso discorso deve essere applicato all’uso dei kit diagnostici. E’ giunto il momento di standardizzare anche quelli. Infatti, mentre sono tutti d’accordo ad effettuare il maggior numero di tamponi possibili al fine di individuare prima, e tutti, i potenziali malati, non esiste ancora un unico kit diagnostico. Ogni test è caratterizzato da una propria sensibilità e specifica diagnostica e questo può provocare in alcune zone la valutazione di soggetti “falsi negativi”. La frammentazione dovuta all’utilizzo di test eterogenei potrebbe ridurre il contenimento della epidemia e ancora peggio favorirne un ritorno. L’affermazione “l’unione fa la forza” è più che mai valida per combattere Covid-19.
Articolo di silvestro montanaro
https://raiawadunia.com/uno-scienziato-denuncia-il-mondo-ha-perso-t…
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