Le donne con tumori ginecologici devono essere curate in centri ospedalieri di eccellenza, altrimenti il rischio che vengano sottoposte a trattamenti non ottimali sale notevolmente a scapito della guarigione. Lo conferma una recente ricerca dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano che ha preso in considerazione un campione significativo di 500 pazienti giunte al centro milanese dopo essersi sottoposte ai primi trattamenti in ospedali periferici. L’analisi ha evidenziato nel 2002, rispetto al 1992, un aumento del 32% del numero delle pazienti accolte dall’Istituto con un peggioramento della patologia a causa di cure oncologiche inadeguate ricevute in ospedali non specializzati. Questo dato ha stimolato L’Istituto dei Tumori di Milano e la Società Italiana di Oncologia Ginecologica a definire, in un volume dal titolo “ Requisiti minimi per il trattamento delle neoplasie ginecologiche”, gli standard minimi che ogni centro universitario/ospedaliero dovrebbe garantire per poter trattare adeguatamente le donne con tumori di pertinenza ginecologica come quelli di ovaio, collo dell’utero, endometrio. Tra gli standard proposti, che si auspica vengano accolti dal Ministero della Salute si indicano: una commissione indipendente in ogni ospedale per analizzare il lavoro svolto per i casi oncologici sulla base di alcuni criteri (numero di nuovi casi, percentuale di complicanze, recidive e decessi, tempi di attesa); l’individuazione di strutture specializzate in oncologia ginecologica; l’istituzione di una Scuola di Specialità di Ginecologia Oncologica. L’integrazione multidisciplinare, come si auspica da molti anni ma spesso non si fa, è la chiave del successo delle cure. In particolare, come è regola negli Stati Uniti, nella pratica quotidiana il lavoro del clinico, del patologo e del ricercatore dovrebbero essere il più possibile sintonici attraverso la creazione di unità operative miste con gli stessi obiettivi. Non sono più le singole specialità che condizionano la creazione di gruppi di lavoro ma invece i comuni campi di interesse che riuniscono figure professionali provenienti da diversi settori. Dove sono state istituite queste unità di ricerca i risultati sono tangibili sia in termine di assistenza clinica che di ricerca. La creazione dei gruppi di lavoro composti da ginecologi, patologi, biologi molecolari, oncologi e radioterapisti ha profondamente modificato i protocolli di trattamento delle neoplasie ginecologiche. Si tengono settimanalmente dei meeting durante i quali vengono discussi i casi clinici, vengono valutati i risultati delle ricerche in corso e si effettua un aggiornamento costante sulla base della letteratura internazionale. Oltre ad un notevole miglioramento nella assistenza tale attitudine ha condotto ad un grande miglioramento della qualità dell’insegnamento offerto ai giovani specializzandi. Solo in questo modo, attraverso la stretta collaborazione tra clinica e ricerca di base nella cura della paziente si possono ottenere i migliori risultati. Una struttura che, per esempio, non abbia una casistica sufficiente di almeno una sessantina di casi l’anno non può essere considerata all’altezza. La colpa non è dei medici ma della filosofia assistenziale: se un ospedale vuole prendersi carico di donne con tumori ginecologici deve creare, per forza, un percorso diagnostico- terapeutico adeguato. E’ ormai chiaro, per esempio, che la prognosi delle pazienti con tumore dell’ovaio (uno dei tumori ginecologici più aggressivi) curate in centri con parametri di esperienza appropriati è decisamente migliore come dimostrato anche da un recente studio norvegese. Ora il Servizio Sanitario nazionale dovrebbe cogliere il messaggio e passare dalla teoria alla pratica Â
Alessandro Bovicelli
Ricercatore, Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia, Università di Bologna