Non sempre ad una richiesta di intervento, sia esso cosmetico, estetico o medico, corrisponde una reale dismorfia tale da indurre la richiesta. Canoni estetici variabili si sono susseguiti e rincorsi nell’arte e nella moda, alcuni ormai improponibili, altri insostenibili, altri solo un po’ demodé. Le giunoniche forme celebrate nella cultura classica sono state filtrate nei secoli, mutando curve e proporzioni, fino a perdersi nei lunghi colli femminili di Modigliani o a sformarsi nell’ironica arte di Botero. Eppure le forme e le donne nell’arte sono tutte piene di fascino perché esprimono un sé, una consapevolezza del proprio essere, una coscienza del proprio io. A nessuno verrebbe in mente di pensare che quelle immagini pittoriche o scultoree siano un’anima alla ricerca di sè: esprimono invece autorevolezza, autoaffermazione, sembra che siano rigurgitanti di autostima.
E’ qui il dilemma: cosmesi, estetica, trasformazione del proprio corpo sono espressione di un meccanismo di autoaffermazione oppure sono strumento di trasformazione di un corpo che non ci gratifica? E quanto contano nell’immaginario collettivo, nella globalizzazione del pensiero e del gusto, le immagini non più tanto subliminali che ci invia il mondo mediatico? Penso a Micheal Jackson ed alla sua trasformazione, decine e decine di interventi per diventare altro da sé. Alcuni ci provano con mezzi meno dispendiosi ma altrettanto appariscenti: piercing e tatuaggi estremi, su corpi ormai diventati dipinti, non più morbidi alla carezza, ma ruvidi , irregolari, quasi intoccabili per la paura di fare e farsi male. Forse vogliono esporsi. O forse vogliono nascondersi?
E quanto vuole esporsi, affermarsi, essere se stessa e di se stessa consapevole, una donna che chiede un intervento estetico: vuole piacersi o piacere di più? In genere è mossa da entrambe le motivazioni perché esse si rafforzano e si potenziano in un infinito gioco sinergico. Se una persona si piace è più forte, gioca meglio al tavolo delle sensazioni relazionali, e vince di più. E vincendo di più perché si piace di più, piace di più e ciò rafforza ancora il suo piacersi…
Certo, c’è chi fa del suo piacersi arma segreta per fini indicibili. Come sempre est modus in rebus…
All’estremo opposto c’è chi della propria immagine non si cura affatto, indifferente ai dettami della moda e del colore; convinto che basti essere se stesso per essere sé, senza orpelli, senza cure, senza colore. Distratti, superficiali, intellettuali o solo sicuri autoreferenti?
Gli estremi in genere non sono mai significativi nelle indagini statistiche. Se pensassimo, per sorridere, di distribuire sull’asse delle ascisse la percentuale di sicurezza del sé e su quella delle ordinate la percentuale di richieste di modifica della propria immagine, avremmo una curva di Gauss. La gran parte della popolazione ipotizzata si distribuirebbe in maniera statisticamente predefinita, aggirandosi per la maggior parte intorno alla media, identificando come moda l’ identità rappresentata più volte. Se dunque è vera l’ipotesi che si utilizzano la cosmesi e l’estetica per effettuare una strenua ricerca del sé, ciò in teoria potrebbe essere negato: dovremmo avere dunque non più una curva gaussiana ma tante identità che si ripetono una sola volta, quasi una rappresentazione rettilinea dell’umanità .
Come sempre, in medio stat virus.E dov’è questo “medio” da ricercare per la virtù?
Sta nella ricerca anzitutto della propria identità , dei propri desideri, filtrati ma non condizionati dalle mode e dai media, ma di quei desideri che sono bisogni interiori, che definiscono con il loro magico puzzle le nostre caratteristiche di unica umanità . Cambiarsi fuori senza una modifica interiore significa dissociarsi, significa non riconoscersi, significa perdersi. Non vale a nulla nasconderci dietro un nuovo naso o occultarci in un fantastico cappello se non vengono fuori gli occhi dell’anima e non siamo capaci di guardare la vita negli occhi senza smarrire l’anno di nascita.
dr.ssa Antonella Guida