Colpisce profondamente l’ultimo libro La medicina è vita – Essere medico nell’era della Globalizzazione del professore e medico Giulio Tarro, che racchiude frammenti di una carriera straordinaria legata agli esordi e agli incontri più significativi del percorso professionale (l’incontro con lo scienziato Albert Sabin inventore del vaccino contro la poliomielite, gli inumerevoli viaggi per la ricerca da un continente all’altro, la scoperta di vaccini).
E’ proprio nel rinnovato uso delle tre parole, indicate nel titolo del libro: “medicina”, “vita”e ”globalizzazione”, nel ricollocarle nell’orizzonte più idoneo al nostro modo di operare, come scienziati sociali (del corpo, della psiche) a contatto con chi soffre e vive ai margini, nel concepire la cura dell’altro come valore universale, irrinunciabile, atto a disvelare l’esistenza, il miracolo del vivere che la tecnica umana dello scienziato Tarro (la cura medica, il lavoro meticoloso in laboratorio, la scoperta, l’insegnamento e la vita personale) si lega alla conoscenza cangiante del mondo e al campo della sofferenza umana attivando un confronto profondo con noi stessi («La cosa che mi ha sempre affascinato nella mia professione di medico e di ricercatore….è, oltre al fascino della scoperta scientifica, il dovermi confrontare con innumerevoli ammalati»).
Non si può, nel momento in cui si realizza una ricerca o un viaggio dentro la conoscenza, non attivare forme sensibili e tutelare ogni forma vivente. Fare ricerca in campo medico vuol dire inseguire intuizioni, scoperte ed idee innovative:«Nel corso della mia carriera di scienziato ho sempre cercato di percorrere entrambe le strade, quella della scoperta e quella dell’intuizione, e questo per non inaridirmi in una ricerca senza fine e anche perché il primo obiettivo che mi sono posto è stato divertirmi, giocare, lasciarmi prendere dalle emozioni, sono orgoglioso di aver fatto tesoro delle parole di Albert Einstein “Lo studio e la ricerca della verità e della bellezza rappresentano una sfera di attività in cui è permesso di rimanere bambini tutta la vita».
Così come attuare prassi di difesa dei diritti umani e della cura degli altri, la lotta contro la vivisezione («…parlare di diritti degli animali in un laboratorio di ricerca sembrava , allora, più che un’eresia, un’assurdità»), il prendersi cura dell’altro, la conoscenza profonda della sofferenza, il viaggio verso l’esplorazione del mondo scientifico. Durante il lungo percorso nella ricerca e nel mondo delle relazioni umane tutto diviene accadimento: «L’accadere dell’accadere umano mostra all’osservatore-ricercatore aspetti diversi nei diversi tempi della ricerca: intanto anche l’osservatore-ricercatore muta nel mutare degli orizzonti culturali, doxico-ideologici e politici che si susseguono, della sua vita, dei suoi molteplici ambienti, della sua risonanza al mondo, delle sue concezioni e ideologie».
La pratica della medicina (l’essere medico) per Tarro diviene approfondimento della conoscenza dell’altro, condivisione di emozioni e percorsi di cura, al fine di poter aiutare, ascoltare la passione e la vocazione: «Sono un medico. Quando ho cominciato ad esserlo, più o meno cinquanta anni fa, questo termine indicava uno schivo professionista che, in un riservato silenzio, si limitava a mettere la sua conoscenza e il suo acume al servizio del malato. Non gli si chiedeva nient’altro. La malattia era una faccenda squisitamente privata, la discrezione il marchio della Medicina.Oggi, invece, sempre più medici dilagano sugli schermi televisivi; in alcuni casi tirati per la giacca a discettare su psicosi, più o meno “costruite”dai mass media, come la Mucca Pazza o la SARS o l’Aviaria, in altri, ad alimentare o lenire quella “ansia di salutismo forse inevitabile in una popolazione, come quella italiana, che non fa più figli e che è sempre più vecchia».
Lo scienziato Tarro è consapevole che «Il pensiero scientifico è un pensiero «bruciante», in evoluzione continua, che solleva problemi fondamentali», sia dal punto di vista etico che dal punto di vista scientifico e antropologico.
Si è consapevoli che il piacere per la ricerca, per l’invenzione di prassi scientifiche supera ogni appagamento.
«Godersi la vita. Per molti significa un ininterrotto consumare (lussi, auto, viaggi, esperienze, sesso…) per altri (pochi) il raggiungimento di uno stato di beatitudine, la mistica contemplazione di quello che è intorno a noi e dentro di noi. Credo di non far parte né del primo né del secondo gruppo. Sono fondamentalmente un curioso e il mio appagamento è stato, ed è, scoprire».
Fare ricerca vuole dire scoperta, essere curiosi verso cose ignote, che non destano a volte curiosità, forse intraprendere la via del mistero, del “miracolo” umano, del vivere una profonda emozione, uno stato di piacere e un senso di meraviglia.«Può sembrare strano invocare la fantasia per sviluppare la ricerca scientifica che, comunemente, si ritiene progredisca seguendo la strada della più arida logica».
«Comunemente si pensa che la medicina sia accomunabile ad altre esperienze scientifiche nella sua parte di ricerca sperimentale perché è assoggettabile al metodo scientifico, ma, contemporaneamente, vi è la percezione che la variabilità biologica e l’impatto con il dinamismo inevitabile del malato obblighi ad abbandonare un atteggiamento scientifico nel momento in cui è tradotto in pratica clinica. O all’opposto, che la possibilità di estrapolarne elementi di novità e fattori di conoscenza debba implicare un atteggiamento distaccato e riduttivo, quasi esistesse un medico che studia, diverso da un medico che cura; così la pratica medica, diagnostica e terapeutica, e le ricerca finiscono per separarsi in mondi incomunicabili, in competenze e ambiti non sovrapponibili».
Mentre i primi due termini del libro (“Medicina”, “vita”) alleandosi senza troppa fatica, rimandono al sapere medico e al rapporto medico-paziente (ovvero si legano al positivo e sensibile interesse per il paziente entro lo schema di una relazione umana, di una cooperazione e di una fiducia reciproca, che coinvolge in maniera inedita e “sconvolgente” lo stesso medico), il terzo termine (“Globalizzazione”) offrendo lo scenario attuale del nostro universo, si lega al nostro tempo e connette con forza ogni pratica e scoperta agli strumenti, rapidi e imprevedibili, al mutamento degli attuali orizzonti scientifici e culturali, politici ed eonomici. «Questa sarà forse l’avventura intellettuale del terzo millennio. La posta in gioco è diventata planetaria: in ogni istante, il mondo oscilla tra diversi stati possibili, e sono le nostre decisioni che fanno pendere la bilancia, spesso in maniera irreversibile». Doversi confrontare con innumerevoli malati comporta sempre un mescolamento delle interiorità anche se le persone che soffrono sono tutte diverse per età, condizione sociale, storia, cultura. «Il medico si trova in una posizione di privilegio, perché si trova tanto spesso a cospetto di anime che stanno lì lì per capitolare e stanno lì ansiose di trovare un conforto, assillate dal dolore. Beato quel medico che sa comprendere il mistero di questi cuori e infiammarli di nuovo”. Giuseppe Moscati è stato, come me, primario all’ospedale Cotugno di Napoli e a volte mi sembrava di sentire risuonare la sua voce mentre percorrevo i lunghi corridoi di quell’edificio che mi ha ospitato per trent’anni».Tutti uguali di fronte alla malattia, e, a volte, alla morte, al mistero. E la ricerca, la conoscenza, la fede confluiscono nella vita di una persona che, pur attraversandovari periodi storici (Sessantotto, Beat Generation, l’era digitale, del villaggio globalee/o“Globalizzazione”), continua a conservare lo sguardo vivo ed attento di chi rimane meravigliato dinnanzi all’universo.
Questo testonarra delle esperienze di ricerca e vita di uno scienziato, pone l’attenzione alla relazione “medico-vita” attraverso orizzonti conoscitivi personali che spaziano dall’esperienza giovanile reale con lo scienziato Albert Sabin all’immagine del medico santo napoletano Giuseppe Moscati, dall’amore verso gli animali agli slanci verso una ricerca totale, originale, unica. E’ la storia di un viaggio dentro la ricerca dell’umano dove vita personale, ricerca e vita si uniscono.
«L’intervento dell’umanità cambia e modifica il destino del singolo in crisi»
Un testo che attraversa il tempo vissuto trascorso tra ricerche di laboratorio (virus), pubblicazioni e testi, scienziati e ricercatori, reti sociali allargate, viaggi intercontinentali, congressi in ogni parte del mondo, diversi periodi storici ed offre l’immagine di un medico ricercatore che sicuramente come scienziato dell’umano tanto ha realizzato. La lettura del testo conduce ad evidenziare alcune importanti riflessioni:
-il medico non è uno “schivo professionalista” che viviseziona la malattia e il corpo umano ma filtra, mediante la personale esperienza di vita, relazioni umane e quanto più sono ampie tanto più si comprende il mondo;
-svolgere attività clinica e di cura significa anche saper comprendere i fenomeni umani e soprattutto saperli comunicare a tutti, saperli vivere nel profondo;
-la medicina, la cura, la ricerca-scoperta, si mescola con il flusso inarrestabile del vivere e deve tener presente il proprio tempo per “essere medico nell’era della globalizzazione”: ciò significa assumere un atteggiamento critico (anche verso se stessi) verso i mutamenti scientifici e culturali del proprio tempo (“cronodesi”);
-colui che si occupa di curare chi soffre non puo’ non gettarsi nella ricerca della sofferenza oscura, tenere in debito conto la lotta contro la vivisezione di animali e la difesa dell’ambiente naturale e umano e neppure può assistere passivo ai disastri ambientali senza una sana attività critica.
Tarro ha attraversato, senza perdere di vista la missione di sensibile ricercatore, molti periodi storici e correnti scientifiche valorizzando al massimo il proprio modo di operare di scienziato a contatto con gli altri, unendo scienza e vita, fede e ricerca, passione per la conoscenza e rispetto per la natura-ambiente, propulsione curiosa e infantile verso la conoscenza e desiderio di stare dalla parte dei deboli e dei pazienti.
L’essere medico ovunque ci si trovi da Messina a Napoli e poi nel mondo, sono parti di un unico modo di approcciare alla vita delle persone.
Vivere significa anche poter narrare la ricerca. Dunque non è importante solo inventare nuovi percorsi di cura ma attraversare la magia del vivere, i “miracoli” della creazione umana, ponendosi domande piuttosto che darsi risposte.
Vivere il tempo senza risparmiare nulla dell’incontro con l’altro.
La tecnica è l’essenza dell’uomo, gli uomini riescono a vivere solo grazie alle proprie capacità tecniche. Oggi la tecnica è una faccenda enorme.
Alcune presenze e personaggi appaiono subito rilevanti per vivere la ricerca come progetto di vita. E non mancano riferimenti ben precisi durante il percorso di medici e scrittori, filosofi : Albert Sabin, Giuseppe Moscati, Ippocrate, Carlo Levi, Albert Ainstein, Cechov. Medicina (cura), ricerca e vita personale sono concetti antichi ed attuali che si intrecciano nel presente, come lo sono quelli di métis, mechané ed empeirìa. Certamente il mondo degli accadimenti umani e il campo antropico affascina Tarro e, nel caso della cura e sapere medico, contiene il genoma della nostra civiltà, ma bisogna anche trovare le ragioni per cui il nostro pensiero ancora oggi sente queste sue ancestrali origini vive, miracolose, misteriose e attuali.La tecnica non è “uno strumento a disposizione dell’uomo”, come alcuni si illudono che dovrebbe essere, la techne è una forma di conoscenza che ha la colpa di essere troppo spesso “tacita”. E troppi le fanno dire ciò che essa non ha mai detto. In realtà Tarro ben comprende come il flusso temporale ponga nuove sfide e che nessun sapere, se pur utile, rimanga inalterato nel tempo. Il tempo, anche il tempo vissuto del medico, di colui che esercita la medicina, o per meglio dire, che si prende cura dell’altro senza rimuovere paure e atteggiamenti freddi e distaccati, è un tempo di nuove sfide e di analisi approfondite. Attraverso i varî tempi e nei diversi popoli l’evoluzione del concetto di “medico” ha seguito quello della medicina stessa. La quale, sorta da tradizioni puramente empiriche, ha assunto sempre maggiore dignità scientifica col progredire delle scienze biologiche, e in generale di tutte le scienze alle quali la medicina nei suoi diversi campì attinge i vari insegnamenti. Nel giro degli ultimi decenni quel rapporto è entrato in fibrillazione e si è rapidamente sfaldato. La transizione verso i nuovi modelli è ancora in corso; mentre la teorizzazione è solida, la pratica fa fatica ad adeguarsi ai nuovi temi e campi operativi:bioetica, cellule staminali, nanotecnologie, ecc. Il cambiamento effettivo della relazione, essendo questa saldamente radicata nella cultura, ha bisogno di un tempo assai maggiore di quello richiesto dalla riscrittura delle regole formali. Al momento non è possibile prevedere la fisionomia e l’evoluzione che il rapporto tra medici, ricercatori, malati e cittadini è destinato ad assumere nel prossimo futuro. Tarro, che ben conosce il mondo della ricerca e delle relazioni umani e della cura sanitaria, si colloca nel “tempo presente”, nella “freccia del tempo”, nel mutare deciso degli orizzonti culturali, sociali, scientifici, politici, liquida le cure «alternative» o miracolistiche sulla cura umana. Lo scienziato Tarro non è solo un attento conoscitore del mondo umano e sociale, medico e scientifico, non è solo un“tecnico”. Egli , tra meraviglia e culto della bellezza del mondo, «…si trova di fronte alle leggi della natura come un bambino di fronte al mondo delle fiabe. La meraviglia per la realtà non è affatto circoscritta e delimitata dall’avanzare della conoscenza, come comunemente si pensa. Anzi, l’incedere stesso della conoscenza è motivo di una ulteriore meraviglia». Fare un lavoro di ricerca in campo medico è un’accettazione incondizionata della labilità e della provvisorietà: la protensione possibile è nel futuro, a contatto con chi vive ai margini. Ogni attimo è fatto di millenni. Ogni progresso scientifico e umano – sembra comunicarci lo scienziato Giulio Tarro, richiede sensibilità, passione, amore per ogni forma umana.
Giuseppe Errico