L’Artrite Reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica che colpisce prevalentemente le articolazioni.Tuttavia è una malattia sistemica che può colpire altri organi e tessuti.
La causa dell’AR non è nota, ma si ritiene che molteplici meccanismi immunologici vengano alterati nel decorso della malattia inducendo un automantenimento della infiammazione. Il decorso dell’AR è variabile e difficilmente prevedibile per ogni soggetto. Tipicamente il decorso distruttivo articolare è lento, ma progressivo; il danno riguarda sia la cartilagine che l’osso. Fin dall’inizio della malattia è possibile osservare, mediante semplici radiografie, la riduzione dello spazio articolare; anche i tendini ed i legamenti vengono successivamente aggrediti dalla infiammazione. La deformazione articolare che consegue determina una perdita della capacità funzionale delle articolazioni con disabilità. Inoltre l’infiammazione sistemica determina aterosclerosi accelerata cui consegue una riduzione della durata di vita per elevata incidenza di fenomeni cerebro- cardio-vascolari (infarto del miocardio, ictus). Tutti i parametri radiologici impiegati per rilevare il danno articolare dimostrano che esso si instaura con maggiore velocità nei primi anni di malattia. Le erosioni articolari compaiono in fase precoce: circa il 90% dei pazienti sviluppa erosioni entro i primi 2 anni di malattia e il processo erosivo si afferma con significativa maggiore rapidità nel corso del primo anno. Dunque risulta intuitivo che la terapia ottimale, attraverso il controllo del processo infiammatorio, debba permettere l’arresto della progressione del danno radiologico.
Negliultimi 10 anni la ricerca scientifica ha apportato fondamentale contributo alla conoscenza dei meccanismi patogenetici di questa malattia, per cui di recente è profondamente mutato l’atteggiamento terapeutico dell’AR. L’acquisita coscienza della gravità della patologia ha modificato il precedente approccio attendistico che prevedeva di iniziare la terapia con farmaci antireumatici (DMARDS) in fasi estremamente avanzate di malattia. Un maggiore numero di farmaci anti-reumatici è oggi disponibile, anche per un impiego d’associazione nei casi più resistenti. L’immissione in commercio dei farmaci biologici anticitochine ha segnato infine una nuova era nel dominio della infiammazione sistemica dell’AR e di altre poliartriti croniche. Le recenti “linee guida” per il trattamento dell’Artrite Reumatoide suggeriscono che la diagnosi e il trattamento precoce con farmaci anti-reumatici in grado di modificare il decorso della malattia è necessario per limitare il danno articolare e la perdita di capacità funzionale. E’ stato osservato che l’inizio del trattamento farmacologico aggressivo entro le prime 12 settimane dall’esordio dei sintomi può determinare l’irripetibile opportunità di prevenire l’instaurarsi del danno articolare. Questo breve periodo viene quindi definito “finestra di opportunità”. La valutazione del danno radiologico in termini di comparsa di nuove erosioni rappresenta una buona misura di risultato per la valutazione dell’efficacia della terapia. La condizione indispensabile per effettuare un intervento terapeutico tempestivo è, dunque, la diagnosi precoce, all’esordio dei sintomi. E’ il Medico di Medicina Generale, prima figura cui il malato si rivolge all’esordio dei sintomi, che ha il delicato compito di sospettare l’AR e di inviarlo allo specialista reumatologo che, alla convalida della diagnosi, ha il compito di elaborare un trattamento aggressivo, finalizzato all’induzione della remissione. Una appropriata terapia è possibile sulla base della valutazione dei fattori prognostici e sulle caratteristiche peculiari di ogni malato. Il rapido invio del malato allo specialista reumatologo per il sospetto di AR all’esordio è motivato dalla presenza dei seguenti segni clinici (red flags): 1. ≥3 articolazioni tumefatte. 2. Dolore alla pressione laterale sulle metacarpo-falangee o sulle metatarso-falangee. 3. Squeeze test positivo. 4. Rigidità mattutina ≥30 minuti.
I criteri classificativi classici cui ci si riferisce per la diagnosi di AR, si sono dimostrati poco sensibili e specifici quando applicati per porre diagnosi di AR all’esordio o nelle primissime settimane di malattia. Infatti questi criteri sono stati sviluppati su casistiche di malati con artrite reumatoide evoluta e non sono applicabili in fase precoce. Infine, non c’è al momento un test diagnostico o un quadro istologico sinoviale specifico. L’artrite reumatoide presenta poi differenti modi di esordire ed evolvere. In alcuni soggetti la malattia, dopo un periodo breve dall’esordio, scompare spontaneamente (artrite autolimitante); in altri casi la malattia reumatoide persiste nel tempo (artrite persistente); tra le forme persistenti si differenziano forme ad evoluzione altamente erosiva (artrite persistente aggressiva). Nel tentativo di curare precocemente l’artrite all’esordio si può incorrere nel rischio di trattare in modo aggressivo forme che sarebbero invece destinate alla auto-risoluzione. Diviene quindi necessario discriminare anzitempo tra forme non persistenti e forme persistenti e, tra queste ultime, le forme più aggressive. La valutazione del rischio di persistenza e di erosività nell’AR all’esordio è stata determinata attraverso l’applicazione di test di regressione logistica, sulla capacità di diversi parametri rilevati all’esordio di associarsi a un rischio di persistenza della artrite, e, per le artriti persistenti, a un rischio di erosività. Si sono così identificati 7 parametri più significativi, per ognuno dei quali è stato attribuito un punteggio (score) ai rispettivi valori di rischio; la somma dei punteggi rilevati determina uno score totale. E’ dunque fondamentale che, sulla scorta di questi parametri, lo specialista reumatologo valuti precocemente il paziente potenzialmente affetto da artrite reumatoide ed elabori una diagnosi quanto più precoce possibile al fine di trattare nella maniera migliore la malattia stessa con le attuali numerose armi terapeutiche a sua disposizione, mantenendo uno stretto monitoraggio (tight control).
Va sottolineato che la corretta gestione del paziente richiede che il reumatologo disponga di una consolidata esperienza clinica, poiché a tutt’oggi il giudizio del medico rappresenta il gold standard per la diagnosi. Occorre anche che le strutture specialistiche reumatologiche siano organizzate in modo adeguato per dare una pronta riposta all’esigenza del MMG. E’ fondamentale cioè che il paziente sia visitato in tempi rapidi, non superiori a qualche giorno di attesa.
Ciò può realizzarsi in vari modi, quali l’istituzione di una seduta ambulatoriale settimanale per le visite “urgenti”, il contatto telefonico diretto del MMG con gli specialisti a disposizione.
Gaetano Nutile Specialista ambulatoriale in Reumatologia ASL Avellino e ASL Salerno