L’artrite psoriasica (AP) è una patologia infiammatoria cronica delle articolazioni su base autoimmunitaria con una predisposizione genetica e determinata dall’interazione di fattori scatenanti.Molto spesso le manifestazioni cutanee precedano quelle articolari, in una percentuale che può arrivare fino al 67% dei casi.
La diagnosi e la classificazione dell’AP si basano sull’esperienza del clinico e sui criteri classificativi CASPAR (Classification criteria for Psoriatic Arthitis) .
L’AP ha una evoluzione radiologica erosiva e distruttiva simile a quella dell’AR, pert cui prima si imposta una terapia, minore sarà l’evoluzione erosiva di questa malattia. Pertanto ,obiettivo del trattamento farmacologico è la remissione clinica o almeno il raggiungimento di uno stato di Minimal Disease Activity (MDA) e la mancata progressione radiologica della malattia.
Sarebbe più corretto parlare di malattia psoriasica, considerando, oltre all’interessamento cutaneo e articolare, anche le manifestazioni extra-articolari tra cui quelle gastrointestinali, e le comorbilità tra cui quelle metaboliche e cardiovascolari.Da cio’ si evince che bisogna porre attenzione non solo alle classiche manifestazioni articolari della malattia, ma anche alle manifestazioni extra-articolari come l’uveite, le malattie infiammatorie croniche intestinali (malattia di Crohn e colite ulcerosa, IBD), le anomalie cardiache e alle comorbilità. Fortunatamente oggi è possibile gestire i pazienti in modo omnicomprensivo con gli inibitori del TNF, in particolare gli anticorpi monoclonali, i quali, rispetto al recettore solubile, permettono di gestire non solo le manifestazioni cutanee ed articolari, ma anche quelle oculari ed intestinali anche se l’ideale sarebbe gestire queste patologie complesse in un ambiente multidisciplinare. Infatti le linee guida più recenti EULAR sono concordi nell’assegnare alla classe degli anti-TNF un ruolo di farmaci di prima linea.Anche il Group for Research and Assessment of Psoriasis and Psoriatic Arthritis (GRAPPA) ha pubblicato all’inizio dell’anno le sue nuove raccomandazioni per il trattamento dell’AP, che presentano poche differenze rispetto a quelle dell’EULAR.
Nello studio CASPAR, pubblicato nel 2008, il metotrexate (MTX) risultava il farmaco più utilizzato nell’ AP nei pazienti che nella maggior parte dei casi non avevano ancora avuto accesso ai DMARDb. Oggi il MTX risulta ancora molto usato e caratterizzato da un’alta persistenza in trattamento, che è circa del 70% a 3 anni (dato simile a quello osservato nei pazienti con AR). Tuttavia, lo studio MIPA, un trial randomizzato e controllato inglese, pubblicato nel 2012 mostra un’assenza di efficacia del MTX nell’impegno sinoviale . Inoltre, una review pubblicata lsu Rheumatology, nella quale si sono valutate l’efficacia e la sicurezza della monoterapia con inibitori del TNF rispetto alla combinazione di anti-TNF e MTX, mostra che, a differenza di quanto accade nell’AR, l’aggiunta del DMARDcs al biologico offre pochi o nulli miglioramenti, anche se l’uso concomitante del MTX sembra prolungare la persistenza in terapia dell’anti-TNF.
Chiara Arcuri
Medico Volontario presso UOS di Reumatologia
Ospedale Civico, Palermo
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