La grave sindrome respiratoria acuta coronavirus-2 (SARS-CoV-2) e la malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) sono divenute una preoccupazione per la salute pubblica, tanto che sono stati dichiarati l’emergenza sanitaria pubblica e lo stato di pandemia a marzo 2020. Febbre (≥38 ° C), tosse secca, affaticamento, mialgia, leucopenia e aumento degli enzimi epatici rappresentano le caratteristiche cliniche più comuni di COVID-19 alla presentazione.
Pur essendo una patologia prevalentemente respiratoria, un numero crescente di pazienti mostra anche compromissione di altri organi ed apparati, compreso il fegato. Il danno epatico sembra essere rappresentato da una moderata steatosi microvescicolare e lievi infiltrati infiammatori nel lobulo epatico e nel tratto portale.
Tuttavia, non è chiaro se questi cambiamenti siano correlati all’infezione virale o alle terapie. Inoltre, nel del sangue periferico vengono rinvenute cellule CD4 e CD8 significativamente ridotte ma iper-reattive in uno stato proinfiammatorio, con aumento delle cellule T CCR6 + Th17 CD4 e granulazioni citotossiche nelle cellule CD8, che potrebbero contribuire alla disfunzione epatocellulare. Si suggerisce come meccanismo alla base del danno epatico acuto associato a COVID-19 Il coinvolgimento di un’abbondante espressione dei recettori ACE-2 nelle cellule del sistema biliare (colangiociti). Anche se livelli elevati di fosfatasi alcalina e gamma-glutamil transferasi (GGT) si trovano in un piccolo numero di pazienti rispetto a livelli elevati di aminotransferasi. E’ l’iperattivazione del sistema immunitario con conseguente aumento significativo dei livelli di IL-6, IL -10, IL-2 e IFN-γ che possono potenzialmente indurre lesioni ai tessuti.
I dati recenti suggeriscono che livelli più elevati di IL sono associati a malattie più gravi e insufficienza epatica, suggerendo il meccanismo alla base della tempesta di citochine in questi pazienti. Inoltre, linfopenia e livelli elevati di proteina C-reattiva (PCR) nei pazienti con COVID-19 sono stati anche associati alla tempesta di citochine e al danno epatico, portando a una prognosi generalmente più sfavorevole. Possono esserci problemi sia in termini di scelta del trattamento per COVID-19 che per la gestione del rischio più elevato di malattie epatiche e scompenso.
Linee guida e raccomandazioni in tutto il mondo sono state sviluppate. Le raccomandazioni AASLD suggeriscono di non interrompere il trattamento antivirale in corso per HBV e HCV, ma considerare di ritardare l’inizio della terapia per l’HCV; limitare le procedure eseguendo solo quelle urgenti o terapeutiche (biopsia epatica, paracentesi, posizionamento di TIPS, endoscopia per sanguinamento da varici) . Uno specifico campo di interesse è quello autoimmune. In questo contesto, Di Giorgio et al hanno studiato lo stato dei pazienti con malattia epatica autoimmune durante SARS-CoV-2 nel corso di un focolaio nel nord Italia, suggerendo che, in questi pazienti la sospensione del trattamento immunosoppressivo non è richiesta. La gestione dell’accesso alle strutture cliniche in caso di rigide restrizioni, come quelli applicati durante il blocco ha creato una lacuna nel follow-up di pazienti cronici e suscettibili in ogni campo medico, come in epatologia.
E’ necessario stratificare i pazienti durante la riprogrammazione degli esami di screening o monitoraggio di complicazioni sospette in pazienti ad alto rischio.
Infine i pazienti con malattia di fegato dovrebbero essere considerati prioritari nell’accesso alla vaccinazione contro SARS-COV-2, in particolare i pazienti con cirrosi e/o HCC e i pazienti sottoposti a trapianto epatico e conseguente terapia immunosoppressiva.
Vincenzo Sangiovanni
Direttore U.O.C. Infezioni Sistemiche e dell’Immunodepresso – III DIVISIONE
A.O. “Dei Colli” – Ospedale Cotugno, Napoli