Le infezioni correlate ai cateteri intravascolari (ICCI) rappresentano una tra le più comuni complicanze secondarie al posizionamento di cateteri intravascolari periferici (IV) e centrali (CVC). Questi ultimi sono sempre più utilizzati in ambito ospedaliero per fornire un accesso venoso a lungo termine e si stima che, negli USA, circa il 90% delle ICCI si verifichino in presenza proprio di CVC.
L’incidenza delle ICCI è variabile e risente notevolmente degli sforzi messi in atto nel campo della prevenzione; a tal proposito negli Stati Uniti, paese virtuoso nel campo dell’infection control, si è visto che le ICCI associate a linee centrali tra pazienti ricoverati in unità di terapia intensiva è diminuita da 3,64 a 1,65 infezioni per 1000 giorni di linea centrale tra il 2001 e il 2009.
Al contrario, in aree con risorse limitate, in particolare in 422 unità di terapia intensiva in 36 paesi sparsi tra America Latina, Asia, Africa ed Europa l’incidenza risultava pari a 6,8 eventi per 1000 giorni di linea centrale dal 2004 al 2009.
Come appena anticipato, in ambito nosocomiale il reparto più colpito è rappresentato dalla terapia intensiva i cui pazienti sono generalmente più fragili e sottoposti con maggior frequenza a manovre mediche invasive, tuttavia tali eventi rimangono comuni nei reparti ospedalieri di degenza ordinaria.
I fattori di rischio che predispongono i pazienti allo sviluppo di ICCI includono tra gli altri gli estremi di età, la perdita di integrità della pelle (come nel caso di ustioni estese), la somministrazione di nutrizione parenterale totale, una precedente infezione del torrente circolatorio, uno stato di immuno-compromissione (ad es. neutropenia, malnutrizione, terapie immunosoppressive) e presenza di patologie croniche.
Andando ad esaminare le cosiddette cause estrinseche alle caratteristiche del paziente, incidono tra le altre la durata del cateterismo ed il relativo sito di inserzione, in quanto il posizionamento in femorale rispetto al posizionamento in succlavia è gravato da più alta incidenza di complicanze infettive.
Le infezioni del flusso sanguigno associate ai cateteri venosi centrali (CVC) possono essere attribuibili a quattro fonti principali, le prime due cause, che sono le più frequenti, sono rappresentate dalla colonizzazione di germi cutanei per contiguità al sito di inserzione del catetere oppure la contaminazione intraluminale in seguito a non corretta gestione del device da parte del personale sanitario. Meno spesso sono dovute a secondaria localizzazione a seguito di una batteriemia preesistente ed ancor più raramente a causa della contaminazione delle terapie infuse.
Per quanto riguarda i microrganismi implicati bisogna ricordare come l’eziologia delle ICCI si sia radicalmente modificata negli ultimi decenni, infatti se prima degli anni ’80 i batteri aerobi gram-negativi erano gli organismi predominanti ora sono stati sorpassati in frequenza dagli aerobi gram-positivi (Stafilococchi coagulasi-negativi, S. aureus ed Enterococchi) e soprattutto in unità di terapia intensiva dalle specie di Candida.
I bacilli Gram-negativi possono tuttavia rappresentare dal 16-31% delle ICCI ed i più comunemente isolati includono Klebsiella spp, Escherichia coli, Enterobacter spp e Pseudomonas spp.
Le manifestazioni cliniche di ICCI possono includere febbre (la più frequente) associata nei casi più gravi a stato mentale alterato ed instabilità emodinamica. L’assenza di febbre può essere tuttavia osservata tra i pazienti con infezioni dovuta ad organismi di virulenza relativamente bassa, ad es. stafilococco coagulasi-negativo (CoNS).
Tra i sintomi locali si segnalano segni quali l’infiammazione o purulenza nel sito di inserimento del catetere oppure una disfunzione del catetere stesso (come accade con un coagulo intraluminale).
Per porre diagnosi è indispensabile eseguire emocolture in presenza di brivido, febbre e/o altri segni o sintomi sospetti. E’ necessario dunque praticare prima dell’inizio della terapia antibiotica almeno due set di emocolture per aerobi/anaerobi dalla vena centrale (idealmente da ciascuno dei suoi lumi) e altri due set da vene periferiche attraverso siti di venipuntura separati.
Si può porre diagnosi di batteriemia a partenza dal catetere intravascolare se si ottiene l’isolamento dello stessa specie batterica da sangue da vena centrale (dal lume o dalla punta del CVC) e da periferica, dove la quantità del batterio isolato sia almeno 3 volte maggiore rispetto a quello da vena periferica in termini di unità formanti colonie oppure dal punto di vista cosiddetto qualitativo in cui la crescita del batterio dal sangue centrale avvenga almeno 2 ore prima rispetto a quello da sangue periferico (tecnica del differenziale di crescita).
Per i pazienti clinicamente stabili, la terapia antimicrobica può essere rinviata in attesa dei risultati dell’emocoltura mentre per i pazienti con segni di instabilità clinica, è opportuno iniziare una terapia antimicrobica empirica.
La scelta terapeutica dovrà essere indirizzata a coprire principalmente i batteri gram positivi e, in assenza di dati microbiologici locali che escludano un’alta prevalenza di meticillino-resistenza (attorno al 10-20%), è indicata una copertura empirica verso Stafilococchi meticillino –R tramite molecole come Vancomicina, al dosaggio di 7.5 mg/kg ogni 8/12 ore oppure in caso di allergia e/o intolleranza Daptomicina al dosaggio di 8-10 mg/kg ogni 24 ore.
Nella terapia antibiotica empirica se si riscontrano condizioni quali malattia severa, neutropenia o nota colonizzazione da batteri gram negativi, è opportuno aggiungere in una copertura verso questi ultimi (incluso Pseudomonas aeruginosa) con molecole quali Piperacillina/tazobactam e/o Ceftazidime.
Successivamente, la scelta della terapia antibiotica mirata deve essere guidata dall’esito delle emocolture e dal relativo antibiogramma. In questa fase è molto importante esercitare una corretta e critica interpretazione dei risultati delle emocolture, ossia devono essere sempre considerati patogeni e di conseguenza trattati uno o più flaconi positivi per germi quali S. aureus, Enterococchi, Enterobacteriaceae (es. Escherichia coli, specie Klebsiella, specie Enterobacter), Pseudomonas aeruginosa e Candida spp.
Risulta invece più complicato interpretare le emocolture positive per gli stafilococchi coagulasi-negativi (CoNS) quali S. epidermidis hominis etc, poiché i CoNS rappresentano dato il loro tropismo cutaneo sia i contaminanti più comuni delle emocolture che la causa più comune di infezioni correlate ai cateteri intravascolai. Pertanto si rende necessaria la presenza di due o più flaconi di emocoltura positivi per tali germi.
Come in tutti gli eventi infettivi è opportuno esercitare un adeguato source control, tramite rimozione del device ove possibile.
Se ciò non fosse praticabile e vi fosse la necessità di provare a sterilizzare il device si può ricorrere a terapia antibiotica “in situ”, all’interno del catetere intravascolare, definita lock therapy, tuttavia caratterizzata da tassi di successo variabili.
E’ opportuno ricordare inoltre che vi sono situazioni cliniche in cui la rimozione del device è mandatoria quali infezione da S. aureus o da Candida spp contraddistinte dalla loro spiccata abilità a formare biofilm inattivando la terapia antibiotica oppure in presenza di complicanze quali endocardite infettiva, tromboflebite settica e/o segni di emobolizzazione a distanza.
Concludendo dato il crescente utilizzo di cateteri intravascolari nella pratica clinica si rende indispensabile un adeguata preparazione del personale sanitario sulla loro gestione al fine di ridurre l’incidenza delle ICCI ed i suoi risvolti in termini di mortalità, allungamento dei tempi degenza e ricorso a terapia antibiotiche prolungate.
DOTT. RODOLFO PUNZI
Direttore Dipartimento Malattie Infettive ed Urgenze Infettivologiche
A.O. “Dei Colli” – Ospedale Cotugno, Napoli