La medicina di genere (MdG) è definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. Nasce dall’esigenza di porre l’attenzione su alcune categorie poco rappresentate negli studi clinici che necessitano di approcci differenti.
In riferimento allo stato attuale della pandemia da HIV, quasi 40 milioni di persone nel mondo vivono con l’HIV e si stima che oltre la metà di loro siano donne, categoria in genere sotto rappresentata negli studi clinici.
Le patologie AIDS-relate sono la principale causa di morte tra le donne in età riproduttiva (età compresa tra 15 e 49 anni come definito dall’OMS). Inoltre, le donne in età fertile, specialmente se non in gravidanza, hanno tassi più elevati di eventi avversi e di interruzione della terapia antiretrovirale (ART). Una comunicazione non ottimale tra gli operatori sanitari e le donne che convivono con l’HIV ha importanti conseguenze sull’inizio, l’aderenza ed la retention in care. E’fondamentale pertanto che si stabilisca una discussione informata tra le donne che convivono con l’HIV e i loro operatori sanitari, poiché le esigenze possono differire e quindi influenzare le loro decisioni di iniziare e mantenere una costante aderenza. D’altra parte, sono stati segnalati alti tassi di coinvolgimento nelle cure e soppressione virale tra le donne HIV positive durante la gravidanza, individuando tale condizione come un potente trigger di compliance ai trattamenti e di retention in care. Le donne gravide che convivono con l’HIV possono sperimentare gravidanze sane con un basso rischio di trasmissione verticale (inferiore all’1%) se vengono offerte loro strategie multidisciplinari, inclusa la ART. Difatti, la ART e gli interventi atti a prevenire la trasmissione dell’HIV da madre a figlio hanno notevolmente ridotto l’impatto dell’HIV sulla salute e sull’aspettativa di vita delle madri, dei bambini e dei partner sessuali. Di conseguenza il desiderio di maternità di ogni donna in età riproduttiva con HIV dovrebbe essere un fattore chiave nella scelta di un corretto regime ART. Bisogna, inoltre, considerare come le donne migranti con infezione da HIV rappresentino una parte di questa popolazione ancor più vulnerabile. Le donne migranti, infatti, possono incontrare maggiori ostacoli nell’accesso ai test e alle cure, con un conseguente ritardo nella diagnosi dell’HIV, l’inizio della ART e una scarsa aderenza al trattamento.
In questi anni si sta delineando, inoltre, l’esigenza di identificare gli aspetti evolutivi della MdG, in quanto la storica definizione di identità di tipo binario (uomo-donna), appare non più adeguata a configurare un corretto approccio di genere a tematiche sanitarie e sociali. Ad oggi un’ulteriore sfida ad un approccio di genere viene posto dal management all’infezione da HIV negli stati intersessuali. La condizione di transessualità, o in senso più ampio di essere di genere non conforme, pone rilevanti interrogativi sulla correttezza dell’approccio attuale alla Infezione da HIV in una popolazione che per aspetti, farmacologici (drug-drug interaction), psicologici (accettazione, volontà di transizione più o meno completa) e sociali, presenta peculiarità la cui mancata considerazione può portare a conseguenze negative rilevanti sotto l’aspetto clinico e gestionale.
Appare, quindi, evidente la necessità di attribuire alle implicazioni di genere un ruolo importante nella sartorializzazione del management della popolazione HIV positiva del terzo millennio, al fine di rendere la MdG uno strumento di appropriatezza clinica che si fonda “centralità del paziente” e la “personalizzazione delle terapie” .
Vincenzo Esposito
Direttore UOC Malattie Infettive e Medicina di Genere
A.O. “Dei Colli” – Ospedale Cotugno, Napoli