A più di dieci anni dall’introduzione nella pratica clinica dei farmaci anticoagulanti orali ad azione diretta, i DOACs (Direct Oral Anti Coagulants) hanno dimostrato di poter confermare i vantaggi in termini di efficacia e sicurezza che hanno permesso la validazione delle loro indicazioni anche nella fase post-marketing di sperimentazione. Le indicazioni attuali dei DOACs consistono nella prevenzione di eventi trombo-embolici in pazienti affetti da fibrillazione atriale, e nel trattamento/prevenzione delle recidive di trombosi venosa profonda e malattia tromboembolica venosa (embolia polmonare principalmente). Le quattro molecole introdotte (dabigatran, apixaban, rivaroxaban ed edoxaban), hanno dimostrato, anche nel contesto del real world, di poter ridurre in maniera significativa gli eventi tromboembolici, e quindi la mortalità e la morbidità ad essi correlati, al costo di una proporzione bassa, rispetto al warfarin, di complicanze emorragiche. Per di più, recentemente sono stati introdotti due antidoti, rispettivamente Idarucizumab per dabigatran ed Andexanet per rivaroxaban ed apixaban, che permettono di gestire anche nel contesto dell’urgenza gli eventi avversi emorragici. La recente Nota 97 AIFA estende anche ai Medici di Medicina Generale la possibilità di prescrivere in prima persona i DOACs. Questa misura permetterà senza dubbio di ridurre in maniera significativa il numero di pazienti con fibrillazione atriale non correttamente profilassati, che per i motivi più svariati non sono stati valutati dallo Specialista cardiologo. Dalla valutazione globale delle prescrizioni dei DOACs effettuata da una recente Survey dell’ANMCO, emerge che la gran parte dei pazienti trattati è affetta da fibrillazione atriale (circa l’84% del totale delle prescrizioni sul Territorio nazionale) ed una limitata parte da embolia polmonare e/o trombosi venosa profonda. Comunemente, i Medici che prescrivono DOACs mettono al primo posto dei criteri prescrittivi l’efficacia dei farmaci, ed in secondo (ma non meno importante) piano, la loro dimostrata sicurezza. Il bilancio tra i due aspetti, comune a tutti i farmaci utilizzati, è però particolarmente cruciale nella popolazione di anziani che assumono DOACs nel contesto della fibrillazione atriale, e questo per diverse motivazioni. In primo luogo, la prevalenza della fibrillazione atriale aumenta con l’età del paziente, infatti, circa il 70% dei pazienti affetti ha età compresa tra 65 ed 80 anni. Con l’aumentare dell’età, aumentano anche le patologie croniche concomitanti dalle quali sono affetti i pazienti: ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco, diabete mellito ed insufficienza renale cronica. Da un lato, per ogni patologia i pazienti sono trattati con più farmaci, di classi differenti, e questo aspetto potrebbe esporli ad un aumentato rischio di eventi avversi legati alla polifarmacoterapia; dall’altro, è ormai noto che all’aumentare del numero di farmaci e quindi di compresse da assumere nel corso della giornata, è più alto il rischio di una scarsa aderenza alle prescrizioni da parte del paziente. In aggiunta, i pazienti anziani, trattati con più classi di farmaci, manifestano spesso differenti gradi di compromissione della funzione renale. Se è vero che circa il 70% dei pazienti ha una lieve riduzione del filtrato glomerulare (con valori eGFR >60 ml/min), resta un 30% della popolazione dei pazienti affetti da fibrillazione atriale che ha una compromissione renale moderata (di cui il 70% presenta un eGFR fra 45 e 59 ml/min/1,73 m2). I dosaggi standard dei DOACs emergono dai rispettivi studi registrativi (Dabigatran 150 mg bis in die, bid; Rivaroxaban 20 mg once daily, OD; Edoxaban 60 mg OD; Apixaban 5 mg bid). In caso di presenza di alcune caratteristiche pre-specificate (moderata riduzione del filtrato glomerulare, peso corporeo < 60 kg, età > 80 anni), i dosaggi di, rivaroxaban, edoxaban, apixaban vengono ridotti rispettivamente a 15 mg, 30 mg, e 2.5 mg bid*. Unica eccezione a queste categorie è il dabigatran, che nel suo studio registrativo (RE-LY), è l’unico farmaco a rappresentare categoria a sé: questo perché i due dosaggi utilizzati oggi nella pratica clinica (150 mg e 110 mg) sono stati entrambi confrontati nel trial di registrazione con warfarin in analisi in doppio cieco, ottenendo quindi dati prospettici per entrambi i dosaggi. Per questa motivazione nel testo delle più recenti Linee Guida ESC sul trattamento della fibrillazione atriale, il dabigatran 110 mg è l’unico farmaco da poter considerare un basso dosaggio a tutti gli effetti, a differenza delle altre 3 molecole, per cui esiste un dosaggio ridotto in presenza di caratteristiche del paziente pre-specificate. Questa differenza si riflette sulla pratica clinica, visto che dabigatran 110 mg può essere considerato in presenza di età > 80 anni, di utilizzo concomitante di verapamil, ma soprattutto in presenza di condizioni, a giudizio del clinico prescrittore, che aumentino il rischio di sanguinamento nel singolo paziente, permettendo così, a differenza dei DOAC anti Xa, di scegliere un farmaco adeguatamente efficace e sicuro. La presenza di età avanzata, comorbidità, polifarmacoterapia e compromissione della funzione renale sono alcuni degli aspetti che possono minare l’adeguatezza della terapia con i DOACs. Infatti, anche recentemente, evidenze emerse da rigorose metanalisi hanno permesso di evidenziare ancora un limite significativo nella corrente prescrizione nel real world dei DOACs: l’utilizzo inappropriato dei dosaggi ridotti dei farmaci. Prevalentemente, si tratta di prescrizioni di dosaggi ridotti quando non necessario, quindi quando il singolo paziente non mostra quelle caratteristiche per le quali è indicata la prescrizione del dosaggio ridotto del DOAC utilizzato. Il tema dell’appropriatezza prescrittiva è stato alla base dell’idea, da parte di SICOA, di preparare una Survey comprensiva di diversi quesiti, sottoposta a medici Cardiologi prescrittori di DOACs, che operavano in Centri uniformemente distribuiti sul tutto il Territorio nazionale (per un totale di 15). Ai quesiti specifici, la maggior parte dei Clinici ha riconosciuto come principale motivazione per la prescrizione di dosaggi inappropriati tale aspetto: il timore, da parte del medico, di esporre il paziente ad un elevato rischio emorragico. Questa riflessione appare più frequente nei pazienti con le caratteristiche citate precedentemente: pazienti anziani, con polipatologia, politrattati e con diverso grado di insufficienza renale. Le evidenze scientifiche, però, permettono di confutare questo dato: in effetti, con l’aumentare dell’età, mentre il rischio emorragico non varia in maniera significativa tra le popolazioni di pazienti con età 75-84 e > 85 anni, di contro il rischio trombo-embolico mostra una crescita lineare. Per questo motivo, proprio i pazienti con età più elevata, se non mostrano i criteri per la riduzione del dosaggio del DOAC (come indicato nei riassunti delle caratteristiche del prodotto, in quanto studiati negli studi registrativi di ciascuna molecola), sono quelli più esposti ad eventi tromboembolici ed alle relative conseguenze sul piano clinico, quando sono in terapia con un basso dosaggio, prescritto in maniera inappropriata. Tale paradosso è, molto probabilmente, alla base di un numero non trascurabile di ictus cardio-embolici, occorsi in pazienti non adeguatamente trattati (12). In questi pazienti, la riduzione del dosaggio si traduce in una riduzione dell’efficacia, senza peraltro una riduzione del rischio di sanguinamento. Il rischio di inadeguatezza del trattamento si profila in maniera più significativa con quei DOACs che hanno criteri pre-specificati per la riduzione del dosaggio: si tratta principalmente degli inibitori del Fattore X attivato. Per dabigatran (inibitore diretto della trombina) il rischio di inappropriatezza prescrittiva si riduce in maniera significativa: infatti, oltre all’età >80 anni, ed alla concomitante terapia con verapamil, il basso dosaggio di 110 mg bid si può considerare correttamente prescritto in tutte quelle condizioni in cui, a parere del clinico, il singolo paziente abbia un elevato rischio emorragico. Nelle Linee Guida EHRA tale scelta viene indicata testualmente come “da prendere in considerazione”, lasciando così al medico la libertà di poter, sempre in maniera adeguata, personalizzare la terapia in base al rischio relativo al singolo paziente che valuta. A fronte, quindi, di un problema attuale, quali possono essere le misure che si possono prendere in considerazione per ridurre il rischio di inadeguatezza della prescrizione? A tale esplicita domanda della Survey SICOA, la maggior parte dei medici risponde in maniera chiara: la misura più efficace è la corretta formazione dei prescrittori. In tale senso, medici specialisti in cardiologia e medici di medicina generale vanno adeguatamente formati su quelli che sono i vantaggi del basso dosaggio e del dosaggio ridotto dei DOACs, quali sono le indicazioni relative per ciascun farmaco, quali gli effetti di questi dosaggi nei singoli studi registrativi versus warfarin. Questi dosaggi hanno mostrato efficacia e sicurezza, anche nella fase post-marketing di sperimentazione. Come già indicato, proprio quei pazienti che si pensa di “tutelare” con la prescrizione di un dosaggio ridotto o basso, sono quelli più esposti al rischio tromboembolico. Una volta ottenuta una precisa e chiara formazione dei medici prescrittori, resta poi importante anche la libertà consapevole per il medico di poter valutare la prescrizione alla luce del profilo di rischio del singolo paziente da trattare. In conclusione, la rivoluzione portata dai DOACs nella pratica clinica di tutti i giorni ha dimostrato e continua a dimostrare di poter superare warfarin sia in termini di efficacia, che di sicurezza del trattamento. Alla luce delle più recenti evidenze scientifiche, il problema dell’adeguatezza prescrittiva è ancora un elemento che riduce in maniera significativa il ruolo protettivo di questi farmaci nei pazienti affetti da fibrillazione atriale. I DOACs in particolare gli anti Xa vengono prescritti in maniera inappropriata col loro basso o ridotto dosaggio per un generale timore di causare un eccessivo effetto emorragico, mentre con l’aumentare dell’età del paziente quest’ultimo resta stabile, al contrario il rischio tromboembolico aumenta in maniera significativa. Solamente una adeguata formazione dei medici prescrittori circa i vantaggi e l’efficacia/sicurezza della bassa e ridotta dose potranno permettere nel corso dei prossimi anni di superare il limite della prescrizione inappropriata dei questi dosaggi, riducendo così i rischi reali causati al paziente.
Dott. Francesco de Stefano Acerra (NA) Centro studi SICOA Società Italiana Cardiologia Ospedalità Accreditata