Il diabete mellito è una malattia cronica degenerativa caratterizzata da un alto rischio di complicanze ed ha un impatto socio-economico molto importante.
Ai nostri giorni la prevalenza della patologia è in continuo aumento, soprattutto nei paesi più sviluppati. Se nel 2017 si contavano 425 milioni di persone con tale patologia, la stima al 2045 ne prevede all’incirca 629 milioni. Naturalmente il problema maggiore è che aumenterà il numero di persone che svilupperà complicanze e il raggiungimento del controllo glicemico è di valido aiuto per prevenirne la comparsa
Entrando più nel dettaglio del diabete mellito di tipo 2, più di un ventennio fa lo studio UKPDS dimostrò che il controllo intensivo dell’emoglobina glicosilata (HbA1c) già al momento della diagnosi può ridurre il rischio di infarto del miocardio e di morte in generale. Questi dati furono successivamente arricchiti dai risultati di altri due grandi trials di intervento: gli studi ADVANCE e VADT, che descrissero la correlazione tra bassi livelli di HbA1c ottenuti con il trattamento intensivo e riduzione di complicanze micro e macro-vascolari rispetto ad un approccio convenzionale. Infine, lo studio STENO2 confermò che l’intervento intensivo sulla riduzione dell’HbA1c aveva impatto favorevole sul rischio di eventi fatali e non fatali.
Sebbene le linee guida raccomandino sia di intervenire sullo stile di vita che utilizzando le terapie ipoglicemizzanti più adeguate, molte persone continuano a non raggiungere il target glicemico.
Le ragioni di tale insuccesso risiedono principalmente nella mancanza tempestiva dell’intensificazione della terapia e nell’inappropriato ritardo ad intensificare un trattamento dovuto ad inerzia clinica o terapeutica. Questi fenomeni sono particolarmente evidenti allorquando si tratti di iniziare o intensificare il trattamento con terapie iniettive indipendentemente dal fatto che si tratti di insulina o di GLP-1 RAs.
Le barriere causa del fenomeno di inerzia terapeutica possono essere distinte in tre gruppi che comprendono:
- Barriere legate alla figura professionale, medico o operatore sanitario, rappresentate da: mancanza di tempo, sovraccarico di lavoro, stress da lavoro, inadeguata conoscenza delle linee guida e mancanza di aggiornamento, scarsa familiarità con le nuove terapie, fallimento nel settare goal chiari, difficoltà a gestire terapie iniettive complesse, fallimento nell’iniziare un trattamento, fallimento nel titolare un trattamento per raggiungere il goal, paura degli effetti collaterali e difficoltà nel gestirli, fallimento nell’identificazione e nella gestione delle comorbidità, approccio reattivo e non proattivo, sottostima dei bisogni del paziente, inadeguata comunicazione medico-paziente, presenza di bias cognitivi con mancanza di razionalità nel prendere decisioni.
- Barriere legate al paziente rappresentate da: negare di avere la patologia, negare la gravità della patologia, assenza di sintomi, scarsa alfabetizzazione sanitaria, assunzione di molte terapie, regime terapeutico troppo complesso, effetti collaterali delle terapie, depressione o abuso di sostanze, fattori correlati allo stile di vita, ostacoli cognitivi, emozionali e di comportamento, scarsa comunicazione medico-paziente, resistenza psicologica all’insulina.
- Barriere legate al sistema sanitario rappresentate da: assenza di linee guida cliniche, assenza di registri di patologia, difficoltà burocratiche con i nuovi farmaci, inadeguato supporto tecnologico, risorse vincolate, resistenza del sistema al cambiamento, mancanza di programmazione delle visite, assenza di campagne di sensibilizzazione rivolte ai pazienti, assenza di supporto decisionale, mancanza di approccio alla patologia con team strutturato, assenza di comunicazione tra medico e staff, mancanza di attività di educazione strutturata.
Recentemente sono stati esaminati in una review i dati di letteratura relativi alle principali strategie utilizzate per superare l’inerzia terapeutica in base ai tre gruppi appena identificati. In particolare di 28 cause stabilite di inerzia terapeutica, solo 22 sono state oggetto di intervento documentato in letteratura.
Per le cause legate alla figura professionale ed al sistema sanitario è stato trovato il numero maggiore di strategie perseguibili, principalmente focalizzate su: incontri educazionali, interventi paziente-mediati, educazione interprofessionale, materiali educazionali, misurazione di routine di outcome riportati dal paziente, monitoraggio della performance del rilascio delle cure sanitarie e linee guida di pratica clinica.
Seguono, in misura numericamente inferiore, quelle legate al paziente, incentrate su: materiali educazionali, monitoraggio glicemico e tracciamento dello stato di salute, incontri educazionali e sensibilizzazione educazionale.
Non è stato trovato, infine, nessuno studio sulle seguenti strategie: resoconti di incidenti clinici, giochi educazionali, supervisione manageriale e rilascio pubblico di dati di performance.
In conclusione, per raggiungere i goal terapeutici è importante ridurre il fenomeno dell’inerzia terapeutica attraverso l’identificazione delle cause che la determinano e attuare le giuste strategie per poter intervenire tempestivamente, anche a più livelli, per migliorare gli outcome clinici e ridurre nel medio-lungo termine i costi relativi alla cura del diabete e delle sue complicanze. Le strategie future per minimizzare l’inerzia terapeutica potrebbero beneficiare dell’individuazione di un range più ampio di cambi comportamentali che comprendano contemporaneamente anche più di uno dei fenomeni identificati descritti.
Dr Antonio Verrillo
Centro Antidiabetico Campano
Avellino