La chirurgia ortopedica protesica è una chirurgia sempre più diffusa con numeri in vertiginosa ascesa. I fattori determinanti per la sempre più diffusa pratica sono senz’altro numerosi: impianti protesici sempre più performanti, miglioramento e diffusione delle tecniche chirurgiche, aumento della qualità e della vita, incremento di attività sportive in età avanzate.
Ogni anno negli Stati Uniti vengono eseguite circa 1 milione di artroplastiche dell’anca e del ginocchio e la previsione è che i numeri aumenteranno notevolmente nei prossimi anni per l’invecchiamento della popolazione.
L’incidenza delle infezioni periprotesiche varia tra l’1% ed il 2%; il rischio di infezione aumenta per le revisioni protesiche e per le riprotesizzazioni.
L’infezione dell’articolazione periprotesica è caratterizzata da una complessa interazione tra i microbi, prevalentemente batteri, e la risposta immunitaria dell’ospite. Gli agenti eziologici possono aderire alle superfici dei componenti dell’artroplastica e formare biofilm. I batteri provengono frequentemente dal microbioma cutaneo e possono essere introdotti durante la fase perioperatoria della procedura di impianto. In alternativa, ma in un numero di casi minore, i batteri possono infettare l’impianto dopo l’intervento tramite disseminazione ematogena o inoculazione diretta da tessuti infetti contigui, frequentemente infezioni della ferita chirurgica. Gli agenti eziologici comprendono diversi batteri e funghi: stafilococchi coagulasi negativi, stafilococchi aureus, streptococchi, enterococchi, enterobatteri; il 70% delle infezioni è monomicrobico, il 30% polimicrobico.
La diagnosi di infezione protesica non sempre è agevole, anche perché non sono accettati gli stessi criteri diagnostici nei vari centri; essa può manifestarsi tra le 4 settimane ed i 2 anni. L’impatto di tali patologie infettive da un punto di vista di spesa sanitaria, di attività lavorativa, di morbilità e mortalità è drammatico.
L’art. 5 della legge Gelli del marzo 2017 introduceva l’obbligo per i medici, ai fini della difesa dalle vertenze medico-legali di risarcimento per malpractice, di attenersi alle linee guida italiane di riferimento ed alla buona pratica clinica. Ricordiamo che le linee guida italiane di riferimento per la profilassi antibiotica perioperatoria nella chirurgia protesica dell’anca e del ginocchio della SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatalogia) più recenti risalgono all’anno 2011 e solo la Regione Emilia Romagna nel 2017 emanava proprie linee guida L’utilizzo di linee guida internazionali deve essere praticata con estrema cautela in quanto verrebbero calate in realtà differenti a quelle per le quali sono state realizzate. Questo è ancora più vero in considerazione della diversa epidemiologia microbiologica nosocomiale e dei diversi patterns di antibioticoresistenza dei germi nosocomiali di strutture sanitarie diverse per localizzazione geografica, tipologia e numerosità d’interventi.
Da una revisione della letteratura internazionale è possibile, però, concludere che la profilassi antibiotica perioperatoria in interventi ortopedici di protesizzazione è raccomandata.
L’antibiotico di prima scelta è la cefazolina (cefalosporina di prima generazione) o anche la cefuroxime (cefalosporina di seconda generazione), somministrata per via venosa non prima di 60 minuti dall’incisione della cute e dell’applicazione del bracciale emostatico. La vancomicina e la clindamicina somministrate da sole sono un’alternativa con una più alta probabilità di infezione protesica. Per i pazienti colonizzati con MRSA (Stafilococcus Aureus meticillino resistente) o nelle strutture sanitarie con alta prevalenza di MRSA si raccomanda di aggiungere alla cefazolina la vancomicina. Altri antibiotici possono essere scelti in accordo a linee guida aziendali, dettate dai gruppi di antimicrobial stewardship sulla scorta di epidemiologia microbiologica e antibiotico-resistenza locali. E’ raccomandato concludere la profilassi antibiotica all’atto della sutura della ferita chirurgica, prolungare ulteriormente la somministrazione di antibiotico non riduce il rischio di infezione.
La prevenzione delle infezioni protesiche si avvale anche di altre misure oltre le profilassi antibiotiche. La riduzione di eventuali fattori di rischio: l’obesità, l’uso di alcol o di tabacco, la scarsa igiene personale, la malnutrizione, lo scompenso metabolico glicemico e la durata dell’intervento superiore ai 90 minuti aumentano il rischio infettivo. Reparti chirurgici con uno scarso volume di interventi di artroplastica rappresentano un aumentato rischio di complicanze. Molto controversa è la pratica della decolonizzazione nasale per i portatori nasali di Stafilococcus Aureus con mupirocina, gli studi in letteratura non definiscono ancora la forza della raccomandazione. Riducono certamente il rischio di colonizzazione e di infezione del campo operatorio le attente misure di igiene del paziente (bagno preoperatorio) e la disinfezione con preparati a base di clorexidina. E’ assolutamente da raccomandare la riduzione del traffico di operatori sanitari nella sala operatoria.
Dott. Rodolfo Punzi
già Direttore UOC
Malattie Infettive D. Cotugno
Napoli