Quella del potenziamento della perdita di peso nelle terapie per l’obesità è una questione di grande interesse ed attualità , visti i dati relativi alla crescente diffusione di questo problema e alle dimostrate difficoltà nel raggiungere dei risultati soddisfacenti e duraturi.
Per questo motivo fioriscono gli studi sull’argomento, alcuni dei quali si rivelano essere di grande interesse ed utilità . Uno di questi, pubblicato sulla rivista scientifica “The New England Journal of Medicine” nel novembre 2005, ha valutato gli effetti della combinazione della terapia comportamentale e farmacologica dell’obesità (1). Wadden e la sua équipe di Philadelphia hanno randomizzato 224 soggetti obesi a quattro condizioni sperimentali:
1) sibutramina 15 mg al giorno e otto visite di 10-15 minuti con un medico di famiglia;
2) 30 incontri di terapia comportamentale di gruppo della durata di 90 minuti ciascuno secondo le indicazioni del manuale LEARN;
3) terapia combinata con sibutramina 15 mg al giorno, otto visite con il medico di famiglia di 10-15 minuti e 30 incontri di terapia comportamentale della durata di 90 minuti secondo le indicazioni del manuale LEARN adattato per includere la sibutramina;
4) 15 mg di sibutramina al giorno con otto visite di 10-15 minuti con un medico di famiglia associata alla consegna di due manuali (LEARN e The Weight Maintenance Survival Guide); in questa condizione i pazienti erano incoraggiati a tenere un diario alimentare e dell’attività fisica.
I risultati dello studio hanno evidenziato che a un anno i soggetti che avevano ricevuto la terapia combinata avevano perso 12.1±9.8 kg, mentre quelli assegnati alla sibutramina da sola 5.0±7.4 kg, alla terapia comportamentale da sola 6.7±7.9 kg e alla sibutramina associata al counselling breve 7.5±8.0 kg (1).
Wadden con questo lavoro conferma l’ipotesi che la combinazione della terapia comportamentale con quella farmacologica potenzia la perdita di peso e aiuta i pazienti a raggiungere un soddisfacente decremento ponderale (2). Un dato di estremo interesse emerso dallo studio è che nella terapia combinata i pazienti che avevano fatto uso più frequente del diario alimentare, aveva raggiunto un calo di peso di 18.1±9.8 kg, mentre quelli con il più basso monitoraggio aveva ottenuto un calo di peso di soli 7.7±5 kg (1). Tali risultati confermano l’ipotesi che la terapia comportamentale e quella farmacologica abbiano un effetto aggiuntivo l’una con l’altra. La terapia comportamentale agisce, infatti, prevalentemente sulla modificazione dell’ambiente esterno aiutando il paziente a sviluppare abilità per gestire gli stimoli che lo portano a mangiare in eccesso, per ridurre l’esposizione ai cibi, per aumentare la restrizione alimentare e incrementare i livelli di attività fisica. La terapia farmacologica, invece, agisce modificando l’ambiente interno, secondo il meccanismo di azione delle singole molecole, riducendo il senso di fame e/o aumentando la sazietà , diminuendo la preoccupazione per il cibo, limitando l’assorbimento degli alimenti, aumentando il dispendio energetico, riducendo direttamente i fattori di rischio delle più temibili complicanze cardiovascolari.
La necessità di potenziare la perdita di peso ottenuta dalla terapia comportamentale, sebbene possa apparire ovvia, è controversa. Il calo medio di peso ottenibile con la terapia comportamentale è dell’8-10%. Tale decremento si associa ad una riduzione dei principali fattori di rischio associati all’obesità (3) e, se mantenuto, può prevenire la comparsa del diabete di tipo 2 (4). Cali di peso maggiori hanno la potenzialità di indurre dei benefici sulla salute maggiori (5), ma possono anche comportare un lieve aumento del rischio di mortalità (6). Tali evidenze hanno portato il National Institutes of Health degli USA ad affermare che “l’obiettivo iniziale della terapia dell’obesità è un decremento ponderale del 10. Il razionale di questo obiettivo iniziale è che anche “ …una moderata perdita di peso corporeo può significativamente diminuire la severità dei fattori di rischio associati all’obesità …”(3).
Come mai allora i ricercatori e i clinici cercano di ideare programmi che siano in grado di fare perdere più del 10% del peso? Uno dei principali motivi è forse che un calo di peso del 10% tende a non essere apprezzato dalla maggior parte dei pazienti. I dati derivati dal QUOVADIS study (Dalle Grave, 2006) hanno evidenziato che i pazienti obesi che richiedono un trattamento per perdere peso nei centri medici specialistici italiani hanno un BMI sognato che corrisponde ad una perdita di peso del 32% e un BMI massimo accettabile che corrisponde ad un decremento ponderale del 23% (7). Ciò indica che con il calo di peso dell’10% ottenuto dalla terapia comportamentale è meno della metà del calo peso che i pazienti ritengono accettabile.
Il problema a questo punto è capire se la discrepanza tra calo di peso atteso dai pazienti e calo ottenuto con il trattamento abbia effetti negativi sull’esito a medio e lungo termine della cura. A questo proposito i dati del QUOVADIS indicano che maggiori sono le aspettative di perdita di peso a un anno maggiore è il tasso di drop-out a uno (8) e a tre anni (9). Inoltre, i pazienti che a tre anni riportano la maggiore perdita di peso (9,6% di calo ponderale) sono quelli che sono soddisfatti della perdita di peso raggiunta (9). Questi dati sembrano indicare che il mancato raggiungimento dell’obiettivo di peso o la percezione di non riuscire a raggiungerlo porti il paziente a pensare che non valga la pena di sforzasi per cercare di continuare a modificare il suo stile di vita per raggiungere o mantenere un peso non considerato soddisfacente. La conseguenza è un inevitabile abbandono il tentativo di dimagrire (10) che si accompagna spesso al ritorno all’abituale stile di vita, con il risultato che il peso corporeo perduto è rapidamente recuperato (11).
Per affrontare questo problema ci sono due soluzioni potenziali: 1) aiutare i pazienti a raggiungere un calo di peso che soddisfi le loro aspettative e che favorire il mantenimento a lungo termine; 2) aiutare i pazienti a modificare le aspettative di peso e ad accettare un peso superiore a quello che desiderano.
La prima soluzione è quella percorsa da Wadden e colleghi ed è perseguita con la combinazione della terapia comportamentale con quella farmacologica (2). Questa soluzione ha il vantaggio di avvicinare la perdita di peso ottenuta del paziente a quella da lui attesa. Ciò dovrebbe rendere il paziente soddisfatto del risultato ottenuto e di conseguenza favorire la sua adesione al trattamento e il suo impegno nel mantenimento del peso perduto. Gli svantaggi di questo approccio sono principalmente legati al trattamento farmacologico a lungo termine. La terapia farmacologica dell’obesità è costosa: si è calcolato che il prezzo da pagare per ogni chilogrammo di peso perduto è di 433 dollari americani con l’orlistat e di 323 dollari americani con la sibutramina. Inoltre, la terapia farmacologica determina spesso effetti collaterali che possono portare il paziente ad interrompere il trattamento. Un altro problema è che per essere efficace il farmaco deve essere assunto per un periodo di tempo indefinito: se, infatti, viene sospeso il peso è recuperato rapidamente.
La terapia continuativa farmacologia dell’obesità presenta, però, molti problemi non risolti. Primo, fino a che il paziente si dovrà pagare interamente un farmaco costoso per curare l’obesità è improbabile che lo continuerà ad assumere in modo continuativo solo per mantenere il peso perduto. Secondo, non ci sono studi che abbiano dimostrato un’efficacia e una sicurezza dei farmaci per l’obesità oltre i due anni (quattro con l’orlistat). Terzo, sebbene il calo di peso ottenibile dalla terapia combinata si avvicini ma non raggiunga il peso massimo accettabile, esso è ancora molto lontano dal peso sognato dalla maggior parte dei pazienti obesi che richiedono un trattamento. Questo significa che anche con l’approccio combinato molti pazienti rimangono insoddisfatti del peso perduto e che perciò debba, comunque, essere affrontato il problema dell’accettazione del peso raggiungibile con il trattamento.
La seconda soluzione è quella di aiutare i pazienti ad accettare un calo di peso superiore a quello atteso. Questo approccio è stato implementato in due recenti programmi di terapia cognitivo comportamentale per l’obesità (11) (10). Questi programmi, oltre all’inclusione delle più moderne strategie comportamentali per favorire la perdita di peso, includono un modulo per aiutare il paziente ad accettare il peso che può raggiungere con il trattamento. Il vantaggio di questo approccio è quello di non dovere usare i farmaci anti-obesità e quindi di evitare la maggior parte dei problemi sopra elencati. Lo svantaggio è quello di dover effettuare un intervento complesso che spesso richiede conoscenze psicoterapiche poco conosciute dalla maggior parte dei professionisti che curano l’obesità .
Un discorso a parte è quello dell’obesità grave ed estrema, dove il BMI raggiunge e supera di gran lunga il valore di 40, per trattare la quale è necessario valutare, oltre a quelli sinora prospettati, interventi incisivi e più drastici, come la chirurgia bariatrica. A questo proposito di particolare interesse è lo studio S.O.S (Swedish Obese Subjects) (14), che mette in evidenza la maggiore efficacia sia nella perdita di peso che nel mantenimento a medio e lungo termine (2 e 10 anni) della chirurgia paragonata a trattamenti convenzionali (non farmacologici). Nello studio emerge inoltre un miglior risultato anche per quanto riguarda il miglioramento dello stile di vita e delle condizioni di salute. Interessante anche il dato che evidenzia che i cambiamenti del peso erano migliori per chi era stato sottoposto a bypass gastrico piuttosto che al bendaggio. Questo lascia supporre che vi possa essere una differenza fra i due tipi di intervento in termini soprattutto psicologici e comportamentali, differenza che andrebbe approfondita attraverso studi specifici.
Questa analisi ha inevitabilmente un’importanza nella pratica clinica della gestione dell’obesità . Allo stato delle nostre conoscenze non possiamo affermare che sia meglio proporre al paziente una terapia combinata comportamentale e farmacologica o una terapia solo cognitivo comportamentale che affronti anche il problema delle aspettative di perdita di peso o indicare il ricorso alla chirurgia bariatrica. I clinici che non hanno una formazione sulle tecniche cognitive per modificare le aspettative irrealistiche dei pazienti potrebbero essere facilitati nel loro intervento dal trattamento combinato. Quelli, invece, con competenze cognitive comportamentali potrebbero valutare in modo più favorevole l’uso della sola terapia cognitivo comportamentale. I chirurghi troveranno sicuramente maggiore soddisfazione nel semplice ricorso alla chirurgia bariatrica, Un approccio che sta in mezzo a questi potrebbe essere quello di iniziare con la sola terapia cognitivo comportamentale e poi aggiungere il farmaco successivamente se il calo di peso non è soddisfacente o se il paziente mantiene aspettative di perdita di peso non realistiche che non si modificano con l’intervento cognitivo, tenendo comunque sempre presente l’opportunità di valutare la chirurgia quando le condizioni del paziente lo richiedono. Ad ogni modo, appare importante coinvolgere il paziente in questa scelta, fornendogli informazioni dettagliate sui dati della ricerca sulla perdita di peso e sui vantaggi e svantaggi del trattamento combinato, solo cognitivo comportamentale o chirurgico, precisando loro che il ricorso a quest’ultimo non li esime da una collaborazione attiva e da un processo di accettazione dei limiti che anche esso presenta.
Bibliografia
1. Wadden TA, Berkowitz RI, Womble LG, Sarwer DB, Phelan S, Cato RK, et al. Randomized Trial of Lifestyle Modification and Pharmacotherapy for Obesity. N Engl J Med. 2005 November 17, 2005;353(20):2111-20.
2. Phelan S, Wadden TA. Combining behavioral and pharmacological treatments for obesity. Obes Res. 2002 Jun;10(6):560-74.
3. National Institutes of Health. Clinical Guidelines on the Identification, Evaluation, and Treatment of Overweight and Obesity in Adults–The Evidence Report. National Institutes of Health. Obes Res. 1998 Sep;6 Suppl 2:51S-209S.
4. Diabetes Prevention Program Research G. Reduction in the Incidence of Type 2 Diabetes with Lifestyle Intervention or Metformin. N Engl J Med. 2002 February 7, 2002;346(6):393-403.
5. Busetto L, Sergi G, Enzi G, Segato G, De Marchi F, Foletto M, et al. Short-Term Effects of Weight Loss on the Cardiovascular Risk Factors in Morbidly Obese Patients. Obes Res. 2004 August 1, 2004;12(8):1256-63.
6. Williamson DF, Thompson TJ, Thun M, Flanders D, Pamuk E, Byers T. Intentional weight loss and mortality among overweight individuals with diabetes. Diabetes Care. 2000 October 1, 2000;23(10):1499-504.
7. Dalle Grave R, Calugi S, Magri F, Cuzzolaro M, Dall’aglio E, Lucchin L, et al. Weight loss expectations in obese patients seeking treatment at medical centers. Obes Res. 2004 Dec;12(12):2005-12.
8. Dalle Grave R, Calugi S, Molinari E, Petroni ML, Bondi M, Compare A, et al. Weight Loss Expectations in Obese Patients and Treatment Attrition: An Observational Multicenter Study. Obes Res. 2005 November 1, 2005;13(11):1961-9.
9. Dalle Grave R, Melchionda N, Calugi S, Centis E, Tufano A, Fatati G, et al. Continuous care in the treatment of obesity: an observational multicentre study. Journal of Internal Medicine. 2005;258(3):265-73.
10. Dalle Grave R. Perdere e mantenere il peso. Un nuovo programma cognitivo comportamentale. Verona: Positive Press; 2004.
11. Cooper Z, Fairburn CG, Hawker DM. Cognitive-behavioral treatment of obesity : a clinician’s guide. New York: Guilford Press; 2003.
12. Yanovski SZ. Pharmacotherapy for Obesity — Promise and Uncertainty. N Engl J Med. 2005 November 17, 2005;353(20):2187-9.
13. Bray GA. Uses and misuses of the new pharmacotherapy of obesity. Ann Med. 1999 Feb;31(1):1-3.
14. Lars Sjà¶strà¶m, M.D Anna-Karin Lindroos, et al. for the Swedish Obese Subjects Study Scientific Group – Lifestyle, Diabetes, and Cardiovascular Risk Factors 10 Years after Bariatric Surgery- N.Engl.J.Med., Volume 351:2683-2693 December 23, 2004 Number 26.
15. Dalle Grave R., Di Flaviano E., Compbianzione della terapia comportamentale e della terapia farmacologica. Emozioni e cibo, newsletter dell’Aidap, anno 2006, num. 17, pag. 21-23.
Camillo Ezio Di Flaviano Daniela Mosca*
Responsabile del Reparto di Terapia e Riabilitazione dei Disturbi della Nutrizione Casa di Cura “Villa Pini d’Abruzzo”- Chieti *Psicologa-Psicoterapeuta, Ambulatorio CEDIF- Pescara