Il trattamento chirurgico delle ustioni è indicato, con poche eccezioni, per le ustioni profonde o di terzo grado. Un ustione di terzo grado è obbiettivamente riconoscibile da un addetto ai lavori ” ictu oculi” ma anche nei casi dubbi e comunque in ogni caso si è concordi per una corretta classificazione del grado di ustione di riferirsi a un criterio temporale: un’ustione che non guarisce con trattamenti medici dopo 3-4 settimane è classificabile come ustione di terzo grado cioè chirurgica in quanto necessita di trattamento chirurgico: escarectomia e copertura delle aree cruente, preparate chirurgicamente, con autoinnesti di cute a spessore parziale (per consentire alle aree donatrici di guarire in pochi giorni). Il grande ustionato e per tale si intende il soggetto con percentuale ustionata di BSA (body surface area) superiore al 40-50%, necessita quindi di numerosi interventi per guarire, tanti di più quanta meno superficie indenne di cute risulti disponibile (cioè non ustionata) per poter essere utilizzata come sito donatore. Infatti un sito donatore per il prelievo di cute da utilizzare per ricostituire il mantello cutaneo leso impiega, se tutto va bene, almeno 10-15 giorni per poter essere riutilizzabile. Al di sotto di certe percentuali critiche come il 60% di superficie ustionata ad esempio i problemi quoad vitam non sono particolarmente incidenti, ma oltre l’80% la prognosi per un’ustione di terzo grado risulta rigorosamente. Infatti i lunghi tempi per i quali il paziente risulterebbe esposto a gravi complicazioni settiche e alle inevitabili conseguenze tipo shock settico ecc, sono la causa della bassissima percentuale di sopravvivenza per percentuali di ustioni al di sopra dell’80%. La filosofia nel trattamento delle ustioni chirurgiche ha subito poche variazioni negli ultimi trent’anni (tanti sono quelli che mi vedono operativo in questo campo) e consiste nell’ operare precocemente le aree di terzo grado ricorrendo ove non disponibile cute indenne da prelevare, a vari tipi di sostituti cutanei e alla cute omologa, cioè alla cute di donatore multiorgano. Sia i sostituti cutanei che la cute omologa avrebbero il significato di una copertura temporanea delle aree ustionate e preparate chirurgicamente con la procedura dell’escarectomia, in attesa che le stesse possano essere coperte definitivamente con cute propria. Posto il caso di un ustionato al 90% ad esempio, dopo qualche intervento, data una media di uno o due interventi alla settimana, frequenza questa stabilita dalle condizioni generali del paziente attentamente monitorizzato in ambiente intensivo, ci ritroveremo detto paziente, a distanza di un mese, con una certa superficie cruenta, perché escarectomizzata e con la necessità , vista la temporaneità dei presidi di copertura utilizzati, di ricorrere a successive ricoperture delle aree cruentate chirurgicamente. Nel caso dell’utilizzo della cute omologa dovremmo averne a disposizione quanto basta nella banca dei tessuti. Ho avuto esperienza di iter di questo tipo nel corso di trent’anni, molte volte. Ciò mi ha consentito di trarre alcune conclusioni parziali. La strategia di cruentare le ustioni con la procedura di escarectomia oltre quanto consentito dalla disponibilità di cute da trapiantare per poter, contestualmente all’escarectomia, ricoprire l’area cruenta residua e oltre l’indicazione imposta dall’infezione locale, comporta conseguenze che possono essere incompatibili con la possibilità di salvare il paziente. Infatti se è vero che l’escara è per definizione tessuto necrotico è anche vero che può fungere da ottima copertura temporanea, se viene evitata l’infezione, così come ben conosciamo essere la funzione della comune crosta. Con i presidi moderni come i letti antidecubito climatizzati che consentono alle escare di seccarsi in modo asettico e con le moderne terapie antibiotiche, ho potuto constatare guarigioni spontanee al di sotto delle escare anche dopo due mesi dall’evento e quindi ben oltre le tre – quattro settimane canoniche, superate le quali l’ustione si definisce chirurgica! Come dire che il criterio temporale di valutazione del grado dell’ustione non è attendibile. Ritengo che la possibilità di guarigione spontanea (e qui è aperto il discorso sulle ragioni e sui meccanismi di queste guarigioni) al di sotto delle escare sarebbe seriamente messa in discussione se non addirittura esclusa dopo un’escarectomia tradizionale per l’approfondimento ulteriore delle lesioni post escarectomia e per le complicanze settiche locali sulle aree cruentente nei vari passaggi di sostituto in sostituto cutaneo. Queste constatazioni le ho potute fare curando in particolare due ustionati: uno al di sopra dell’85% di BSA e l’altro del 90%. Sono riuscito a coprire le superfici ustionate del primo paziente con 17 interventi e del secondo paziente con 24 interventi. Ciò mi ha consentito di protrarre la degenza dei pazienti per quasi un anno e quindi di verificare la guarigione spontanea di una buona percentuale di area ustionata al di sotto delle escare, trattate in esposizione su letti tipo clinitron, pur trattandosi di ustioni clinicamente e obbiettivamente di terzo grado dopo oltre 2 mesi dall’evento. Ci si potrebbe domandare come mai tali evidenze siano giunte alla mia osservazione relativamente tardi. La risposta è che solo in questi ultimi anni il perfezionamento delle tecniche rianimatorie ci ha consentito di prolungare la sopravvivenza di certi grandi ustionati che fino a poco tempo fa soccombevano entro il primo o il secondo mese di degenza. Cioè prima di poter fornire i riscontri su esposti. Da queste esperienze ho maturato il convincimento che: 1) l’utilizzo della cute di donatore multiorgano non ha la funzione salvavita come si assume che abbia 2) l’escarectomia, in difetto di una disponibilità di cute propria da trapiantare può costituire un rischio aggiunto 3) le escare, se non infette e cioè se trattate in esposizione, in ambiente climatizzato e con letto antidecubito, contribuiscono anche in modo determinante al percorso terapeutico del grande ustionato.
Giovanni Ponzielli
Chirurgo plastico