Le sempre più limitate disponibilità economiche a disposizione del sistema sanitario rendono obbligatoria la scelta a favore di nuovi modelli organizzativi ma, ad oggi, i legislatori e gli altri soggetti istituzionali preposti non sono stati in grado di completare il superamento del sistema medicocentrico, evidenziando l’incapacità di realizzare modelli alternativi che sappiano coniugare il giusti riconoscimento ed il doveroso rispetto dell’autonomia professionale medica con le nuove esigenze organizzative del SSN, alla base delle quali è certamente posta la definitiva legittimazione delle Professioni sanitarie. Quasi sempre (la “battaglia” sulla libera professione intramoenia di queste ultime settimane ne è una valida testimonianza), al posto di scelte coraggiose, ormai indispensabili per risolvere definitivamente i problemi cronici del sistema, si preferisce contenere temporaneamente la criticità ricorrendo a nuove elargizioni economiche, riconoscendo tali risorse come unica efficace leva di cambiamento. Una scelta paradossale: ad un sistema che soffre sul versante economico si risponde quasi esclusivamente impegnando un’ulteriore quantità di denari!      Ciò che pare impossibile da compiere è porre limiti all’autonomia della professione medica; si tratta di un vero e proprio paradigma da falsificare. A scanso di ogni possibile equivoco, precisiamo ciò che intendo quando parlo di “limitare l’autonomia medica”: con tale affermazione mi riferisco ad un’azione di ripensamento delle competenze e delle autonomie del personale medico, al solo fine di riportarne la figura ad una dimensione terrena, eliminando l’aura taumaturgica in forza della quale in sanità il medico deve occupare tutto lo spazio disponibile. Nonostante tutto ciò che  viene scritto e detto in tale direzione, di fatto oggi tale ipotesi è ancora considerata impossibile, pertanto difficile da rendere oggetto di una serena discussione ed una partecipata analisi. Mi pare che, anziché portare a compimento il progetto di valorizzazione delle Professioni sanitarie iniziato a fine anni ’90, qualcuno pensi (e in qualche caso tenti) una vera e propria controriforma a favore di un modello già adottato per lungo tempo e dimostratosi fallimentare: l’ampliamento delle competenze del gruppo medico, al quale affiancare profili professionali di basso livello che si occupino della mera parte esecutiva. Oltre che alla miglior formazione, alle accresciute responsabilità normative e giurisprudenziali e ad un crescente grado di autoconsapevolezza, la necessità di un ruolo da protagonista per le Professioni sanitarie è anche dovuto ad alcuni importanti fattori ad esse esterni: tra gli altri, invecchiamento della popolazione, cronicizzazione delle patologie, evoluzione tecnologica. E’ evidente come i primi due fattori aumentano sensibilmente l’importanza delle prestazioni assistenziali e, in proporzione, ridimensionino la portata del contributo medico: una persona anziana affetta da una patologia cronica ha soprattutto bisogno di assistenza! Allo stesso modo, l’evoluzione della tecnologia richiede una sempre maggior specializzazione delle Professioni sanitarie che la utilizzano, ridimensionando il peso relativo del contributo medico. Non riconoscere tali oggettività e riproporre ostinatamente sistemi ormai insostenibili (sia economicamente che in termini di risultati attesi) significa porre le basi per un nuovo e certo fallimento. Si rendono, pertanto, indispensabili la progettazione e la sperimentazione di modelli organizzativi delle attività sanitarie che, in un ottica di clinical governance, siano in grado di consentire un pieno coinvolgimento delle Professioni sanitarie, quindi un pieno utilizzo delle loro specifiche competenze. Tale proposta sulla base del convincimento per il quale, nel medio e lungo periodo, investire su di esse sarà una delle pochissime opzioni a favore della sostenibilità del sistema sanitario pubblico. L’unica risposta alle sollecitazioni del sistema passa attraverso il costante aggiornamento delle competenze e (laddove necessario) il loro ampliamento, annullando quelle barriere protettive che un sistema di governance sanitaria richiede di superare. E’ evidente che alcune delle competenze sulle quali aveva titolarità il gruppo medico, nel tempo e per vari motivi, sono diventate di fatto competenze sulle quali oggi ha titolarità una Professione sanitaria. Soltanto una serena accettazione di tale dinamica storica consentirà la dialettica interprofessionale necessaria a superare le logiche corporative e porre davvero la persona al centro. Infatti, il vero punto di arrivo verso il quale far tendere la Professione medica e le Professioni sanitarie è la loro piena consapevolezza di agire con e nell’interesse della persona assistita, ponendosi continuamente quali mediatori tra il servizio sanitario e i bisogni di salute, tenendo conto che essi sono l’espressione di molteplici aspetti quali l’età , la patologia nonché le variabili culturali, economiche e sociali. Le aspettative delle persone assistite rappresentano le speranze riposte nel nostro agire.
Dott. Alessandro Beux
SCDU Neuroradiologia – ASO San Giovanni Battista — Torino