“In alcuni contesti, come nell’ambito dei concorsi pubblici, ci sono Titoli di Studio che hanno “valore legale” ovvero permettono l’accesso a determinati posti o garantiscono un certo punteggio per la carriera professionale, mentre in altri contesti lo stesso titolo di studio non viene riconosciuto se non per le competenze che ha permesso di acquisire. Queste competenze, tuttavia, non hanno un “valore in assoluto” ma relativo al mercato specifico in cui si collocano. Non siamo di fronte alla presentazione di documenti attestanti la titolarità della competenza, ma all’attribuzione di valore tramite l’esercizio della stessa.” ( Aurelio Iori). Una formazione costruita “ad hoc”, anche se mediata, non può passare per evidenti e madornali “errori di percorso” come sottolinea una nota del Ministero di marzo 2008 ed inviata alle Università per fronteggiare le anomalie dilaganti della formazione “fatta comodamente al computer”. Il percorso accademico prevede passaggi necessari e inevitabili dove, alla base di tutto, vi è il possesso del Diploma quinquennale di Scuola Media Superiore. Ma quanti ne sono in possesso tra coloro che vantano “titoli” poco meritati? La formazione, specie la formazione dedicata e in settori delicati, richiede competenze specifiche e seria legittimazione, percorsi costruiti nel tempo ed elasticità di analisi, valutazioni immediate e soluzioni mirate. Ma chi è in possesso di questo tipo di formazione? Il “pateracchio” non può durare in eterno. Nella logica aziendale dopo l’esplosione delle novità e l’accaparramento dei titoli e dei “posti di comodo” falsamente messi a concorso vi è, inevitabilmente, l’implosione di situazioni non governabili solamente con il continuo sperpero di denaro pubblico. Come disse il famoso poeta (Stanislaw J. Lec), “taluni escono di scena quando esauriscono le parole scritte da altri” per cui l’albero della saggezza si siede ad aspettare tempi migliori. Quei tempi in cui il fenomeno organizzativo riesca, finalmente, a ricomporsi in un fenomeno culturale capace di comprendere l’ambiente sociale e di rispettare le figure che nell’organizzazione operano in funzione dei “bisogni” dell’individuo e del necessario sviluppo organizzativo attualmente frenato da ruberie continue e volgari mercificazioni spacciate per solidarietà professionale, sviluppo tecnologico, sofferta e meritata riqualificazione, programmazione futura. Se attualmente nutriamo molti dubbi sui nostri interlocutori, di sicuro viviamo delle certezze sui nostri comportamenti, giustificati dai risultati ottenuti.
Ciro Scognamiglio
Docente di “Didattica e Formazione” ai corsi master dell’Università degli Studi di Napoli Federico II