“Una buona pratica infermieristica è il risultato di conoscenze cliniche e tecniche superiori, non di vocazione”, dicono gli autori di un articolo apparso sul numero di maggio di quest’anno di “Nursing Economic” Julia A. Nelson PhD e Nancy Folbre PhD, membri dell’ Associazione Infermieristica del Minnesota, ribattono a quanto scritto sul “Journal of Health Economics”, da Anthony Heyes, il quale afferma che un infermiere sottopagato, sarà sicuramente un infermiere migliore. Nel suo articolo Heyes dice che stipendi bassi attirano maggiormente coloro che scelgono di fare l’infermiere seguendo una vocazione, anziché chi decide di intraprendere questa professione a causa di altre motivazioni. Heyes sostiene che stipendi più alti riducano il numero di infermieri “chiamati”, con conseguente diminuzione della qualità delle cure erogate. Nelson e Folbre credono invece che stipendi maggiori, se erogati per riconoscere capacità ed alte performances, possano contribuire a motivare e a migliorare le pratiche infermieristiche. Anzi sostengono che stipendi bassi e la mancanza di incentivazioni economiche, sono tra le cause maggiori della carenza di infermieri negli Stati Uniti che porta alla crescente necessità di reclutare infermieri stranieri. Nelson e Folbre ribadiscono la necessità di una giusta retribuzione per gli infermieri, e riaffermano ulteriormente che la “vocazione infermieristica” non garantisca necessariamente cure migliori per i pazienti. Tratto da: The American Nurse, The Official Journal of American Nurse Association. May/June 2007. Si evince da questa lettura che le problematiche infermieristiche oltreoceano sono sovrapponibili a quelle di casa nostra. In Italia si assiste ad un abbandono della professione per cercare strade più gratificanti e remunerative. Questo ha obbligato il nostro Paese a ricorrere all’utilizzo di infermieri stranieri che spesso hanno una formazione inferiore rispetto a quella vigente da noi. A livello sociale non viene data alcuna rilevanza a questa figura professionale che, come nessun’altra negli ultimi vent’anni, si è evoluta fino ad ottenere la formazione universitaria, aree di completa autonomia (si pensi alle Nurse House esistenti in Emilia Romagna, nate sul modello Americano, che sono completamente gestite da infermieri) e livelli di responsabilità che attribuiscono all’infermiere la completa gestione dei pazienti in determinate aree operative. Inoltre come già detto, gli stipendi sono assolutamente inadeguati rispetto all’importanza e all’entità del lavoro svolto da un infermiere. Questo ha portato ad una crisi nel settore che sarà difficilmente risolvibile fino a che chi amministra la Sanità in Italia (e a quanto abbiamo appena letto, anche in Usa) non si renderà conto che “la vocazione” non esiste e che un professionista va retribuito in maniera proporzionale e adeguata alla rilevanza che il suo lavoro ha sull’intera società .
S. Morano
CPSEI Azienda Ospedaliera S. Giovanni Battista di Torino Tutor Clinico Università di Torino