La “formazione continua”, da concretizzare per tutto il periodo della propria esistenza, non è altro che un misero pretesto per defiscalizzare gli interventi in formazione, per incrementare le casse degli istituti universitari, allocare risorse finanziarie verso siti sconosciuti, misurare la sola efficienza produttiva senza alcuna valenza strategica. Nel 1984 era Boldizzoni a parlare di “formazione apparente” cioè priva della capacità di incidere nei reali processi di lavoro evidenziando le tesi di Pascale e Athos (1982) di due anni prima che già si chiedevano quali potevano essere le condizioni affinché una “formazione” fosse in grado di produrre anche apprendimento. C’è una sconnessione tra una bella attività formativa in aula, che tende a consolidare gli schemi cognitivi esistenti, e una realtà quotidiana che non si riconosce in comportamenti teorici sullo sviluppo organizzativo pur sopportando costi sproporzionati. In virtù di ciò preferiamo accontentarci del peggio o, meglio, ci aggrappiamo alla politica “del meno peggio” in cui un protocollo, piuttosto che capirlo, aspettiamo che ci venga suggerito da qualcuno per applicarlo “secondo una falsa coscienza” e scaricando le responsabilità ad altri; lasciamo che un medico faccia 12 ore di guardia per 7 giorni di fila e lo lasciamo lamentare vicino al “muro del pianto”, che tutti conosciamo. senza spiegargli che non è importante stare 12 ore di guardia ma ciò che al paziente serve è come si fanno le 12 ore di guardia (e non vuole sapere, il paziente, che lui è disposto a dare il culo per una carriera che, forse, non vedrà mai dovendosi accontentare di fare il “medico di una delle tante ex mutue”). Noi siamo il paese del falso. Abbiamo la capacità di distruggere tutto e, per farlo, spendiamo cifre da capogiro. Non ci rendiamo conto che, essendo fatti male, ogni elezione politica ci porta nuove iatture perché noi stessi ufficializziamo i nostri mali vantando di avere dato un voto a quel bel simbolo “del meno peggio”. Così la necessaria “formazione apparente”, non solo professionale ma anche di vita, diventa un lungo elenco di orrori e nefandezze sullo stile di Peppe Grillo: accettare l’indulto, arricciare il naso e votare parlamentari inquisiti, barcamenarsi sugli inceneritori, essere orgogliosi di un debito pubblico di 1630 miliardi di euro, lottare per il precariato e i lavori interinali, credere alle fesserie di una informazione imbavagliata, votare con una legge elettorale incostituzionale, vivere in una regione bellissima, come la Campania, travestita da Chernobyl. In quindici anni di continua “formazione apparente” anche il nostro cervello si è formato sul meno peggio, tanto il peggio, prima o poi, dovrà pur fermarsi. La forza di una vera formazione non può fermarsi al crollo dell’Alitalia, alla sofisticazione delle mozzarelle e del vino, all’invasione della spazzatura che restano, anche se con fondamentali distinzioni, “l’inciucio” politico dei partiti maggiori e delle multinazionali a loro collegate o, meglio, il fulcro del “Comitato d’Affari”. Per anni l’unica domanda è stata quale potevano essere le condizioni affinché la formazione potesse produrre apprendimento e, nella risposta tutta italiana, si sono lanciati un po’ tutti (dall’Università ai Sindacati) mobilitando l’utilizzo delle risorse per la formazione pattuite a livello contrattuale (finanche i Fondi Interprofessionali) sia in ambito pubblico che privato mettendo da parte il principio fondamentale di ogni formazione che resta legato all’influenza della struttura dell’Azienda e dell’ambiente esterno in quanto risultante di realtà storiche, strutturali e culturali di una comunità . Queste implicazioni, in grado di produrre sviluppo formativo reale, richiedono che si esca dai vincoli autoreferenziali delle strutture formative e che si rimuovano gli ostacoli che impediscono agli utenti di essere al centro dei processi di formazione. Non si riuscirà ad esercitare nessun diritto a garanzia dell’avvenuta formazione né alcuna verifica sulla soddisfazione del processo di produzione del servizio se non abbiamo ben chiaro che occorre conoscere e condividere gli esiti attesi della formazione, occorre garantire che la formazione erogata avrà il valore dichiarato, occorre costruire il processo formativo sulle necessità dell’utenza (risorse umane/clienti), occorre analizzare gli esiti del processo formativo come impatto del valore atteso.