L’artrite reumatoide (AR) è una malattia autoimmune, caratterizzata da progressiva infiammazione della membrana sinoviale, che può determinare erosioni irreversibili e conseguente danno articolare. Una delle caratteristiche della malattia è la presenza di autoanticorpi specifici, gli anticorpi anti-proteine citrullinate (ACPA), che possono essere ritrovati in circa l’80% dei pazienti e che possono comparire anche molti anni prima dell’esordio dei sintomi articolari. Se agli APCA viene riconosciuto un importante valore diagnostico, attualmente questi autoanticorpi possono essere considerati come fattori prognostici sfavorevoli, come indicatori di possibile comparsa di complicanze (interstiziopatia, vasculite), ma possono essere anche usati come predittori di risposta clinica alla terapia; inoltre la presenza di questi autoanticorpi incide significativamente sul grado di attività malattia e sulla progressione del danno articolare e si associa a comparsa di importanti comorbidità, quali la riduzione della massa ossea ed il conseguente rischio di frattura , l’insorgenza e la progressione del danno endoteliale, eventi che incidono sull’aumento del grado di disabilità e sulla riduzione della capacità lavorativa, con pesante impatto economico sul paziente e sulla società.
Con l’avvento dei nuovi farmaci biotecnologici (bDMARDs) la prognosi della malattia, purchè diagnosticata presto e trattata in maniera tempestiva ed adeguata, si è fatta indubbiamente meno grave; tuttavia, ancora oggi, una percentuale variabile di pazienti non risponde al primo “biologico”, rendendo necessario il passaggio ad altro bDMARDs, della stessa classe terapeutica (switch) oppure con differente meccanismo d’azione (swap). Abbiamo attualmente a disposizione una vasta e varia scelta terapeutica, che si sta arricchendo con il prossimo utilizzo delle “piccole molecole” e di anticorpi che agiscono con altri meccanismi d’azione; per cui adesso diventa prioritario scegliere il farmaco migliore da usare in prima linea, per cercare di ottenere il miglior risultato nel minor tempo possibile. Per poter raggiungere l’obiettivo della remissione o, in alternativa, della minima attività di malattia, potremmo quindi basarci proprio sulla presenza degli autoanticorpi (fattore reumatoide e APCA): diversi contributi scientifici hanno già dimostrato che vi sono alcuni farmaci capaci di ottenere una migliore risposta clinica proprio in base alla presenza di questi due biomarkers. Tra i farmaci particolarmente efficaci in questo tipo di pazienti si colloca abatacept: sia lo studio AMPLE vs adalimumab che dati di real-life ne indicherebbero una maggiore efficacia clinica rispetto agli antiTNFa, specie nei pazienti con più alto titolo autoanticorpale. Sono proprio i dati provenienti dalla pratica clinica quotidiana che dovrebbero aiutarci a riposizionare i farmaci nelle gerarchie prescrittive del reumatologo: le più recenti linee-guida internazionali lasciano ampia libertà di scelta sul primo bDMARDs da usare, consentendo al reumatologo di poter scegliere il farmaco proprio in base alle caratteristiche del singolo paziente da curare. Ma proprio questa “libertà terapeutica” deve tradursi in una più consapevole scelta, dettata non più da abitudini consolidate, bensì dalla conoscenza delle potenzialità del singolo farmaco nei confronti delle caratteristiche cliniche di quel paziente che inizia una terapia che dovrebbe portarlo alla remissione.
Dr. Angelo Semeraro
Responsabile U.O. Reumatologia Azienda Sanitaria Locale Taranto