Le malattie cardiovascolari, tra cui infarto del miocardio ed ictus cerebrale, rappresentano ancora oggi la principale causa di morbilità e mortalità nel mondo, e ci si aspetta che esse diventino la principale causa di morte nei paesi in via di sviluppo entro il 2010. L’enorme impatto che tali patologie possono avere sulla gestione della Salute Pubblica implica la necessità di rivedere in modo sostanziale le attuali strategie di prevenzione primaria e secondaria. Attualmente, le principali linee guida per la gestione clinica delle malattie cardiovascolari pongono particolare attenzione al trattamento dei singoli fattori di rischio. Tuttavia, non è possibile ritenersi soddisfatti del livello di prevenzione cardiovascolare raggiunto, ed occorrono ulteriori sforzi per poter fronteggiare questo problema di Salute Pubblica reale ed attuale, proponendo nuove spunti di ricerca per migliorare le nostre conoscenze e la stessa pratica clinica. Testo Nel corso delle ultime due decadi, abbiamo assistito ad enormi progressi in campo medico e scientifico nell’ambito della gestione dei fattori di rischio cardiovascolari tradizionali, tra cui ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, abitudine tabagica, obesità e diabete mellito. Tuttavia, il costante e progressivo incremento dell’incidenza del diabete mellito e dell’obesità , il riscontro dell’abitudine al fumo fin dall’età adolescenziale, la sempre più larga diffusione di stili di vita sedentaria e di abitudini dietetiche sfavorevoli (cibi ad elevato contenuto di grassi animali e carboidrati) minacciano di annullare o addirittura “invertire” i benefici che sono stati raggiunti nell’ambito della prevenzione delle malattie cardiovascolari (1). Occorre, peraltro, sottolineare come le strategie di prevenzione cardiovascolare e le raccomandazioni attualmente in uso nei diversi Paesi non sono uniformi (2). In Europa, ad esempio, sono stati adottati vari provvedimenti per tentare di unificare le diverse Linee Guida, attraverso il trattamento dei molteplici fattori di rischio cardiovascolari. Negli Stati Uniti, invece, la maggior parte delle raccomandazioni cliniche e terapeutiche prevedono una gestione basata sul trattamento del singolo fattore di rischio, piuttosto che modelli di strategie terapeutiche integrati. Peraltro, questi approcci integrati non hanno ancora avuto un significativo impatto sulla pratica clinica dei singoli medici, che sono ancora largamente orientati verso il trattamento di ciascun singolo fattore di rischio, piuttosto che del rischio cardiovascolare globale (2). Numerose evidenze dimostrano che per rendere più efficiente la gestione delle malattie cardiovascolari, è necessaria una svolta significativa nell’attuale approccio alla prevenzione stessa. Questo richiederà un cambiamento nell’attuale approccio basato sul trattamento dei singoli fattori di rischio, largamente adottato dai medici nella loro pratica clinica, verso un approccio più globale, multifattoriale, che ponga particolare attenzione al rischio globale di ciascun paziente (3). Essere in grado di riconoscere il “continuum” esistente tra i molteplici fattori di rischio cardiovascolari potrebbe dunque rappresentare il nuovo modello da adottare in un prossimo futuro, al fine di ridurre la morbilità e la mortalità cardiovascolari a livello mondiale, e contemporaneamente ridefinire gli obiettivi da dover raggiungere per ciascun fattore di rischio, in base al profilo di rischio cardiovascolare globale. Questo approccio sistematico ed integrato offre le migliori premesse per un sostanziale miglioramento della gestione del rischio cardiovascolare globale, e dovrebbe essere attuato in tutte le politiche sanitarie e ancor di più nella pratica clinica di ciascun medico.
Massimo Volpe
Cardiologia, II Facoltà di Medicina, Università di Roma “La Sapienza”, Roma, ed IRCCS, Neuromed, Pozzilli (IS) – Italia