Tra i danni organici riconducibili allo stress, che è certamente l’alterazione più diffusa dello stato d’equilibrio della psiche, l’ipertensione essenziale è la conseguenza più grave, che può portare anche alla morte. Ed è, purtroppo, la forma di conversione psicosomatica dello stress più estesa nel mondo, soprattutto nei paesi industrializzati.Prima di inoltrarci nell’analisi della malattia, è indispensabile ripercorrere, per grandi linee, i concetti di stress e di conversione psicosomatica.E’ opinione comune che lo stress sia una condizione sempre dannosa per l’organismo e che, pertanto, siano da evitare tutte le situazioni stressanti. Tale affermazione non è vera in assoluto, perché alcune situazioni stressanti sono benefiche e necessarie alla vita quotidiana, rappresentando la molla che ci spinge ad agire, a migliorare le nostre prestazioni e a raggiungere quindi determinati obiettivi. Basti un solo esempio. E’ l’agitazione da stress che ci prende in vista di un esame, di qualsiasi tipo, che ci spinge ad impegnarci per superarlo. E tanto più brillante sarà il risultato dell’esame, quanto più forte sarà stata la spinta che ci avrà indotto alla preparazione. Si parla, in questi casi, di stress benefico, di “eustress”. Si deve allora affermare che lo stress è una delle funzioni vitali dell’organismo e al tempo stesso una delle conseguenze più gravi della società industriale. Il significato originario del termine è “spinta”, “pressione” e rappresenta la risposta dell’organismo di fronte a uno stimolo di particolare intensità . E’ il segnale d’allarme in presenza di un pericolo. Le ghiandole surrenali aumentano la produzione di adrenalina, un ormone che provoca la contrazione dei muscoli e abbrevia i tempi di reazione. E’ la cosiddetta reazione adattiva, essenziale per la sopravvivenza.A rendere popolare il termine stress furono, nel 1936, le ricerche di Selye, che diede appunto la definizione di “sindrome di adattamento generale” per indicare la reazione biologica ad uno stimolo intenso e prolungato. Il modello prevede tre fasi. La prima è caratterizzata da una reazione di allarme, in cui l’organismo organizza le proprie difese tramite modificazioni biochimiche ormonali. La seconda fase è di resistenza allo stress, con un meccanismo di adattamento e normalizzazione degli indici fisiologici. La terza fase, a cui le statistiche dicono che si giunge in casi ormai sempre più frequenti, è quella dell’esaurimento. Gli agenti dello stress sono di tale intensità da abbattere le difese dell’organismo. E qui si verifica quasi sempre la conversione. La reazione non è più di adattamento, ma si tramuta in patologie psichiche o somatiche, o di entrambi i livelli insieme. Non si tratta più di “eustress”, ma di “distress”, i processi di riequilibrio omeostatico non sono più possibili.Varie possono essere le cause dello stress, cioè gli “stressor”, i cosiddetti fattori stressanti. Il lavoro, anzitutto, inteso come competitività esasperata, senso di inadeguatezza e inutilità , eccesso di aspettative, ripetitività o perdita dell’impiego. Altre cause possono indicarsi in generiche situazioni di pericolo, malattie croniche, povertà o debiti, lutti familiari, matrimoni falliti, incertezze sul futuro dei figli. Gli stressor sono fattori che agiscono naturalmente in modo diverso a seconda dei soggetti. Gli individui non si stressano tutti alla stessa maniera e per gli stessi motivi. Holmes e Rahe hanno individuato una scala di 43 eventi ritenuti interagenti con le valutazioni personali nella genesi di una conversione di carattere somatico.Ed ecco il concetto di conversione psicosomatica. L’aggettivo “psicosomatico” fu coniato nel 1818 dal medico J.C.Heinroth, che intese così sottolineare la dualità mente-corpo. Un altro medico, K.W.Jacobi, quattro anni dopo propose il termine “somato-psichico” per dare risalto all’influenza del dato corporeo sull’unità psichica. Entrambi avvertivano così l’esigenza di unificare i concetti di psiche e soma, che allora erano considerati separatamente. Del resto, il rapporto tra corpo e mente è un discorso antichissimo. I primi studi sull’unità psicosomatica risalgono addirittura alla scuola ippocratica, che intendeva separare la medicina da ogni concezione magica o religiosa, rivendicando alla disciplina una razionalità scientifica che consentisse diagnosi certe e terapie efficaci. Salute e malattia venivano considerate l’effetto di una armonia o disarmonia organica, legata all’equilibrio variabile di umori interni. Con Platone si introduce la distinzione netta tra anima e corpo, con Aristotele l’anima diventa il principio vitale del soma, con Cartesio si cristallizza la dualità tra mente e corpo. E questa posizione trova fautori ancora oggi, a distanza di quattro secoli, perché sono ancora molti coloro che, nell’affrontare una patologia, distinguono nettamente tra psiche e soma, che sono invece aspetti diversi ma costitutivi di una stessa totalità . Non solo, ma di essa fanno parte integrante anche aspetti sociali, culturali e ambientali, come bene hanno osservato i padri della psicologia, a cominciare da Freud.Da un punto di vista psicoanalitico, possiamo specificare anzi che la conversione è un meccanismo di difesa che dà luogo a sintomi osservabili: “Essa consiste in una trasposizione di un conflitto psichico e in un tentativo di risolverlo in sintomi somatici…Ciò che specifica i sintomi di conversione è il loro significato simbolico: essi esprimono, mediante il corpo, rappresentazioni rimosse” (Laplanche-Polantis, 1968).Per Freud, nei sintomi corporei si esprimono le rappresentazioni rimosse, deformate dai meccanismi di condensazione e di spostamento. La stessa genesi del linguaggio e tutti i processi simbolici risiedono nella percezione e concettualizzazione del corpo. Partendo dall’intuizione che ad ogni fase fisiologica corrisponde la formazione di rappresentazioni psichiche, Freud arrivò ad osservare che la stessa formazione dell’Io avrebbe origine dalla percezione e dall’investimento libidico degli organi corrispondenti. Anche lo studio delle malattie e dei loro sintomi si rivela importante per quello della funzione dell’Io. Ma in questa operazione bisogna evitare due rischi: il primo è quello di rimuovere il biologico dallo psichico, il secondo è quello di soffocare le emozioni a livello mentale e di esprimerle solo a livello fisico.Freud riteneva altresì che esistessero disturbi somatici psicogeni indotti da una inibizione dell’Io, sintomi dunque atti a soddisfare l’inibizione dell’Io e non la pulsione sottostante. Egli ha dunque fornito uno schema esplicativo di tipo psicologico dei disturbi fisici psicogeni, i quali, clinicamente parlando, sono manifestazioni isteriche di conversione sintomatiche di aspetti inibitori da parte dell’Io (Petrosino, 1992).La scelta della conversione psicosomatica deriva, in definitiva, dal rapporto che si vive con il proprio inconscio.La medicina moderna, influenzata dal positivismo, agli inizi del secolo scorso aveva annichilito la componente psicoaffetiva e psicosociale del malato, considerando con Virchow la malattia come “malattia di organi e di cellule” (1902).Ma, fortunatamente, già nella seconda metà del Novecento, “il medico moderno si deve abituare a vedere i conflitti emotivi concretamente e realisticamente come fossero altrettanti microrganismi patogeni” (Alexander, 1968). E oggi è un dato sempre più comune che, per una esatta diagnosi, bisogna annoverare accanto alle caratteristiche genetiche o alle noxae esterne, i processi patogeni derivanti dalle esperienze emotive.Sifneos osserva che la maggior parte dei malati psicosomatici sono alexitimici. La traduzione letteraria di alexitimia è “mancanza di parole nell’esprimere emozioni”. Si riscontrerebbe una povertà della vita emozionale ed una carenza di quella fantasmatica. Il soggetto vivrebbe una disgregazione che gli impedirebbe la più elevata modalità espressiva, la comunicazione verbale, utilizzando invece il linguaggio del corpo. Egli non sa usare la fantasia. Evita il contatto con la vita mentale interna sia come fantasia che come emozione. E’ come se avesse un’aderenza patologica alla corporeità degli oggetti e considerasse le parole solo in senso utilitaristico e descrittivo.Quando il mondo fantasmatico è represso e le sue manifestazioni sono negate alla coscienza, il soggetto viene sopraffatto dai derivati di questi elementi e genera somatizzazioni (Petrosino, 1992). La somatizzazione si articola in genere in quattro fasi. Inizia con un disagio psicologico, continua con un blocco funzionale, segue un’alterazione cellulare e infine provoca la lesione anatomica. Non è questa la sede per elencare tutti i disturbi e le malattie psicosomatiche. Potremmo citare l’asma bronchiale, la colite ulcerosa, l’ulcera gastro-duodenale, la dermatosi, l’orticaria, la psoriasi, l’enuresi, l’impotenza, ma limitiamoci qui al nostro argomento-base, l’ipertensione. Si calcola che ne soffra sino al 30% della popolazione adulta ed oltre il 50% degli anziani. Le ultime stime dell’Organizzazione mondiale della sanità valutano in oltre il 13% il numero dei decessi imputabili all’ipertensione, che continua ad essere diagnosticata troppo in ritardo e non adeguatamente curata.La pressione arteriosa è la forza esercitata dal sangue sulle pareti delle arterie. Essa garantisce agli organi un adeguato apporto d’ossigeno. L’ipertensione si manifesta quando tale apporto supera le necessità dell’organismo. Gli organi recettori ed i muscoli rifiutano questo eccesso ed i piccoli vasi che portano loro il sangue si restringono per non farlo passare. Secondo l’OMS, un individuo adulto soffre di pressione alta quando i valori minimi superano i 95 mm/Hg (millimetri di mercurio) e quelli massimi i 140/150. Il valore massimo si ha quando il cuore si contrae (sistole), quello minimo quando si rilassa, riempiendosi di sangue (diastole). La misurazione si effettua con uno sfigmomanometro (misuratore delle pulsazioni) a mercurio, o aneroide, o mediante oscillometro semiautomatico.La pressione arteriosa varia in funzione di vari fattori, quali l’età , lo stato emotivo, l’attività fisica, l’ora del giorno. Aumenta, generalmente, dopo i 35 anni e nella donna dopo l’inizio della menopausa.La maggior parte degli ipertesi non presenta sintomi specifici. Segnali di una ipertensione non controllata possono essere la cefalea mattutina localizzata dietro la nuca e che scompare dopo alcune ore, i capogiri, le palpitazioni, l’epistassi nasale, l’affaticamento, i disturbi della vista e l’impotenza.Esistono due forme d’ipertensione, quella “essenziale”, che dipende da diversi fattori (oltre a quelli psichici e nervosi, familiari, ormonali, nutrizionali, ma anche l’abuso di alcol e il fumo), e quella “secondaria”, che può essere causata da malattie renali, da disordini neurologici, da malattie endocrine, da farmaci e sostanze chimiche o cibi. Più del 90% dei casi rientra nella prima categoria, solo il 5% nella seconda. Il resto è dovuto a fattori ereditari.La determinante emozionale dell’ipertensione fu indicata già nel 1939 da Alexander, il quale parlò di “personalità ipertensiva” a proposito di dirigenti e manager di grosse imprese, o di persone investite di responsabilità professionali di altro tipo. Da allora tale personalità si vuole caratterizzata da tre aspetti fondamentali: l’ira repressa, la tendenza alla sottomissione degli altri o propria e l’ansia, fattori dunque predisponenti all’ipertensione e alle malattie cardiocircolatorie.Le conseguenze di un’ipertensione non curata possono essere molto gravi. Si va dalla cardiopatia ischemica all’ictus cerebrale, alla vasculopatia periferica e allo scompenso cardiaco. Le complicanze cardiovascolari, con la percentuale del 44%, rappresentano la principale causa di morte nel nostro paese. Come si cura l’ipertensione? Anzitutto con la correzione del regime alimentare, se quello seguito è sbagliato, e con il mutamento dello stile di vita del paziente. L’obesità è una delle cause principali dell’ipertensione. L’indice di massa corporea (BMI), calcolato in base all’altezza e al peso dovrebbe essere inferiore a 25 negli uomini e a 24 nella donne. La dieta alimentare per l’iperteso prevede in primo luogo la riduzione del sodio, cioè del sale, associata all’assunzione di cibi contenenti potassio (banane, kiwi, ananas, arance), acidi grassi omega 3 (soprattutto pesce), di cereali, frutta in genere e verdura. Importante è ridurre il contenuto di grassi. Quindi poca carne rossa, molte carni bianche, latte scremato, pochi latticini. Preferibile l’olio di oliva, soprattutto per le fritture. Pochissimo vino e quasi niente superalcolici. E bere due litri e mezzo d’acqua al giorno per stimolare naturalmente la diuresi.Quanto allo stile di vita, è indispensabile una regolare e quotidiana attività fisica (sport, corsa, anche una semplice passeggiata), ma anche un generale atteggiamento attivo, come andare a piedi anziché in automobile, scendere le scale senza usare l’ascensore. Ed eliminare il fumo delle sigarette.Se una dieta alimentare corretta o le modifiche dello stile di vita non fossero sufficienti, è indispensabile il ricorso ai medicinali. Ce ne sono di vari tipi e funzioni: diuretici (riducono la quantità di liquidi in circolo); metabloccanti e calcioantagonisti (diminuiscono la forza delle contrazioni cardiache e dilatano le pareti delle arterie); ace-inibitori (bloccano la produzione da parte del rene di una sostanza che alza la pressione sanguigna); sartani (bloccano la produzione di alcune sostanze favorendo la vasodilatazione e la diuresi).Forse in nessuna malattia come nell’ipertensione trova riscontro, in negativo, l’osservazione secondo cui “l’organismo vivente non è composto da forze che tendono all’inerzia, ma è una entità capace di sottrarre energia dall’ambiente ed accumularla a proprio vantaggio” (Piscicelli). Nel caso degli ipertesi, infatti, sono proprio le sollecitazioni ambientali a fare accumulare al nostro organismo quella “energia” che produce però non un vantaggio, ma effetti dannosi.L’osservazione è uno sviluppo della tesi di Merleau-Ponty, il quale, contestando l’opposizione tra processi vitali e processi psichici propugnata dall’idealismo, considera i due processi espressione dello stesso fenomeno. Non è pensabile infatti uno spirito avulso da un suo concreto radicamento corporeo. E il corpo non è un puro strumento applicativo delle nostre capacità conoscitive, ma è il primo veicolo del nostro vivere nel mondo, del nostro rapportarci alle cose. La vita, insomma, non conosce distinzioni tra organico e psichico, tra “res extensa” e “res cogitans”. Gli ultimi insegnamenti della medicina psicosomatica e gli studi sulla conversione hanno ben recepito la lezione psicoanalitica ed esistenzialistica. L’unità tra mente e corpo deve essere un dato irrinunciabile. Non sono più scientificamente accettabili le posizioni dualistiche, che “hanno in genere avuto connotazioni metafisico-religiose, laddove al concetto di mente si sovrapponeva quello di anima” (Solano).A questa consapevolezza di base fa riferimento oggi la dottrina che studia gli effetti che lo stress può avere sulle malattie organiche e sul sistema immunitario.Da questa premessa culturale deriva l’interesse rivolto ora alle tecniche di gestione dello stress che possano aiutare l’individuo nel controllo dei propri stati corporei, in modo che gestendo meglio le situazioni stressanti si possa evitare o limitare l’insorgenza di danni organici.Nel trattamento dei singoli casi c’è la tendenza ad utilizzare più tecniche contemporaneamente, col proposito di conseguire migliori risultati. Le tecniche più in uso sono le seguenti:La riduzione dell’attivazione. Consiste nell’addestrare il paziente al rilassamento muscolare per affrontare meglio le situazioni di stress e reagire in modo adeguato.Il biofeedback. E’ forse la più efficace tecnica di rilassamento. Nell’ipertensione, in particolare, il feedback viene applicato sui parametri fisiologici del tono muscolare, della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e dell’attività elettrica corticale. Il paziente impara così a raggiungere un controllo migliore dei processi fisiologici che si svolgono nel suo organismo.La ristrutturazione cognitiva. Il soggetto impara a modificare i propri schemi cognitivi e valutativi avendo maggiore consapevolezza delle situazioni a rischio. Si punta a fargli acquistare maggiore consapevolezza di sé e maggiore autocontrollo.L’adattamento alle capacità comportamentali. Molti individui avvertono spesso un senso di frustrazione per la incapacità di affrontare adeguatamente alcuni eventi della vita. La tecnica consiste nel far loro apprendere modelli comportamentali e abilità generali, come ad esempio la gestione del tempo libero e la programmazione, utili a migliorare la loro reazione allo stress.Approcci basati sulla modificazione ambientale. A volte, invece di tentare di adeguare il soggetto al suo ambiente per fargli meglio assorbire gli eventi stressanti, si adotta il processo inverso, modificando l’ambiente che lo circonda e rimuovendo in tal modo le cause dello stress.Concludiamo con due brevissime considerazioni. La prima riguarda la medicina psicosomatica. La ricaviamo da Graeme J. Taylor. Le cause delle disfunzioni dei soggetti psicosomatici dipendono da un difettoso funzionamento dell’Io piuttosto che da conflitti psicodinamici. L’intervento terapeutico per questi malati va dunque modulato contestualmente su due versanti: la psicologia clinica e la medicina generale o specialistica.La seconda considerazione riguarda più direttamente lo stress, che è ormai una malattia sociale. Sono diversi e tutti pericolosi i virus psichici che condizionano i nostri comportamenti. Cessato un allarme, ne nasce subito un altro. Siamo succubi di una sovraeccitazione collettiva. Sarebbe ora che tutti, a partire dalla società mediatica, imparassimo a smorzare i toni per rispettare di più la nostra esistenza e il nostro ambiente.RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICIAbraham K.( 1927), Opere, Torino, Boringhieri, 1975.Alexander F., Medicina psicosomatica (1950), Giunti Barbera, Firenze, 1951.Bahnson G.B., Psycophisiological complementary in malignancies: past work and future vistas, Ann. N. Y. Acad. 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Rosaria Sonia Petrosino
Dipartimento di Scienze Mediche Preventive, Facoltà di Medicina e chirurgia, Università di Napoli Federico II