E’ da circa 14 anni che, nei paesi industrializzati, assistiamo ad un progressivo e costante decremento del tasso di mortalità per AIDS. Questa nuova realtà è evidentemente in stretta correlazione col miglioramento delle strategie terapeutiche che, da allora, hanno previsto l’utilizzo della terapia triplice altamente attiva (HAART) e che oggi prevedono una serie di nuove classi farmacologiche (inibitori dell’integrasi, inibitori del CCR5 etc.) che consentono un approccio terapeutico ottimale anche nei pazienti pluritrattati e plurifalliti. Alla diminuzione della percentuale di morti direttamente attribuibili al virus HIV, però, ha corrisposto un inaspettato aumento della mortalità associata ad altre patologie (malattie epatiche, nefropatie, cardiopatie e neoplasie non AIDS definenti) come se l’incremento della aspettativa di vita rendesse i sieropositivi più assimilabili ai soggetti sani e, quindi, più propensi ad ammalarsi di patologie comuni. L’interessamento renale in corso di infezione da HIV è noto fin dagli anni ’80 ma, solo nell’ultimo decennio, è stato meglio caratterizzato rapportandolo a patologie con interessamento glomerulare (tipico della nefropatia hiv correlata o HIV-AN e della glomerulonefrite da immunocomplessi) o tubulare (disfunzione del tubulo prossimale con sindrome di Fanconi). Dal punto di vista eziopatogenetico la sofferenza renale può essere direttamente connessa alla infezione da HIV o indirettamente correlabile ad essa attraverso infezioni opportunistiche (TBC) o patologie iatrogene (es. nefrite interstiziale e calcolosi da indinavir). Dovendo stimare qualitativamente il rischio per patologia renale possiamo considerare una serie di elementi fra cui la razza (più frequente l’HIV-AN nei neri americani, negli africani e nei neri caraibici) ed il numero di cellule CD4 (più a rischio i soggetti con meno di 200 cells/mm3) mentre fattori aggravanti sono alcune comorbidità come il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa e le coinfezioni per virus epatitici. Per quanto riguarda l’HIVAN c’è da dire che essa è la più comune malattia renale nei pazienti sieropositivi e, negli Stati Uniti, è la terza causa di malattia renale terminale (ESRD) negli afro-americani fra i 20 ed i 64 anni. La malattia si manifesta con una sindrome nefrosica associata ad una insufficienza renale rapidamente ingravescente ma senza edemi od ipertensione. L’utilizzo sistematico della biopsia renale ha consentito di operare una differenziazione fra l’HIV-AN (anatomopatologicamente caratterizzata da glomerulo sclerosi focale segmentale FGS) e le altre forme con deposito di immunocomplessi in sede glomerulare che possono beneficiare di un trattamento breve (2-6 settimane) con cortisonici. In generale, però, il trattamento di queste forme risente positivamente della terapia per l’HIV, tanto è vero che la scoperta di HIV-AN è stata inserita fra le indicazioni per iniziare la HAART. Anche nel nostro paese il problema dell’impegno renale in corso di HIV inizia ad essere meglio studiato; d’altronde già alcuni anni or sono i dati della più grande coorte italiana di sieropositivi (ICONA) avevano dimostrato che oltre il 25% dei soggetti avevano un velocità di filtrazione glomerulare (GFR) francamente patologica. Dal punto di vista diagnostico è da notare che la determinazione della creatininemia non è un indicatore precoce della perdita di funzionalità renale (risulta normale anche se il 50% dei nefroni è compromesso !) mentre sicuramente più affidabile è la valutazione della proteinuria, della clearance della creatinina o della cistatinemia sierica.
Alfredo FRANCO
Dirigente medico infettivologo A.O.R.N. “Domenico Cotugno” — NAPOLI