Nell’affrontare le problematiche relative alla terapia chirurgica delle ulcere venose, è necessario chiarire, prima ancora degli aspetti tecnici dei vari interventi, il ruolo, gli scopi e le indicazioni della terapia chirurgica stessa.
La diagnosi di ulcera venosa non è certamente sufficiente, da sola, per orientarci nella scelta terapeutica.
D’altronde il paziente richiede il nostro intervento quando la patologia venosa ha avuto lungo tempo per cronicizzarsi e divenire nella migliore delle ipotesi “complessa”
Talora non pare cogliere appieno il significato della sua patologia, poiché spesso, oltre a chiedere se la sua patologia sarà definitivamente risolta dall’intervento chirurgico, si preoccupa del risultato estetico dell’intervento stesso: quale numero di incisioni? Quale la loro dimensione? Le cicatrici saranno molto evidenti?
Da ciò si evince come nell’approccio al paziente non possiamo non tener conto di queste pur legittime esigenze.
Dovremo perciò conciliare il massimo effetto terapeutico con il miglior risultato estetico.
Ritornando, quindi, ai criteri che devono guidarci, il nostro obiettivo dovrà essere quello di eliminare la stasi , i punti di fuga, i reflussi, dopo aver accertato se l’origine dell’ipertensione venosa alla base della comparsa dell’ulcera, sia dal circolo profondo, da quello superficiale, dalle perforanti o come spesso accade da un complessa e , non sempre facile da chiarire, alterazione emodinamica che vede coinvolti tutti i distretti suindicati.
E’ forse opportuno, infatti, ricordare che tempo addietro si riteneva che la comparsa di un’ulcera venosa fosse sempre legata ad una insufficienza del circolo profondo.
Oggi si è visto come questo sia vero in una minoranza dei casi, e che comunque sia quasi sempre accompagnato da alterazioni del circolo superficiale che non solo aggravano l’insufficienza venosa, , ma quasi sempre sono la causa scatenante della comparsa di alterazioni trofiche, per cui la nostra attenzione dovrà essere rivolta precipuamente a questo aspetto particolare.
Sarà quindi necessario un accurato studio clinico ed emodinamico con un fedele mappaggio pre-operatorio che si potrà avvalere oltre che dell’esame ultrasonografico, anche della epi — illuminazione e del mappaggio riportato su lucido come oramai da tempo siamo soliti fare in modo da ottenere una riproduzione fedele del mappaggio stesso anche a distanza di tempo. Inoltre ottenendo in tal modo una più precisa corrispondenza tra il punto individuato e l’incisione chirurgica.
La terapia chirurgica che abbiamo a disposizione può essere divisa in:
Chirurgia Ablativa- Chirurgia Conservativa – Chirurgia Ricostruttiva.
Eseguibile con: Tecnica Chirurgica ”Tradizionale” , Tecnica Endoscopica, Tecnica Endovascolare.
Al di là , comunque, della tecnica scelta, il nostro gesto terapeutico può essere diretto alla correzione del reflusso profondo, superficiale o delle perforanti.
In quest’ultimo caso dovremo individuare le perforanti incontinenti, distinguere quelle refluenti da quelle di rientro, in sistole ed in diastole, al fine di effettuare un intervento selettivo e non indiscriminatamente rivolto alla eliminazione di tutte le perforanti.
Inoltre, nell’intento evitare tessuti coinvolti da sclerosi, ipodermite, processi ulcerativi, si dovrà valutare se ricorrere alla chirurgia tradizionale, alla chirurgia endoscopica, alla S.E.P.S , o alla chirurgia Laser
La chirurgia del circolo superficiale, apparentemente più semplice, può anch’essa essere condizionata da svariati fattori come la presenza di ulcera, zone di ipodermite e sclerosi cicatriziale. Le varie opzioni terapeutiche possono prevedere il ricorso alla:
Chirurgia emodinamica senza exeresi dei tronchi safenici: crossectomia semplice-associata a flebectomie , chiva .
Chirurgia ablativa : stripping lungo, stripping corto, stripping ultracorto, stripping della piccola safena,
EVS (Endovenous Vein Shrinkage) EVLT (Endo-Venous Laser Treatment).
Completamento con: interruzione delle perforanti incontinenti
varicectomie (insufficienza di collaterali safeniche ed extra safeniche)
La exeresi delle vie di reflusso può essere agevolmente attuata con varie tecniche chirurgiche:
Flebectomia sec. Muller
Flebectomia per transilluminazione (Trivex)
Flebo-occlusione con uncino elicoidale (VHeliHoS).
Talora, però, quello che era per il passato solo un atto chirurgico complementare allo stripping , diviene una vera e propria strategia terapeutica poiché al di là delle limitazioni all’ intervento di stripping lungo, dovuto alla presenza dell’ulcera e delle zone di ipodermite e sclerosi cicatriziale,
Solo nel 8-10% dei pazienti possiamo osservare un reflusso lungo su tutto l’asse safenico a partenza dalla valvola terminale, con safena eccessivamente dilatata dall’inguine al malleolo.
Ciò ci autorizza ad intraprendere di principio approcci più conservativi, anche perchè in presenza di un reflusso lungo, la safena residua può riprendere una funzione defluente.
Proprio nell’intento di attuare approcci piu’ conservativi, la chirurgia delle collaterali safeniche ed extra-safeniche assume un nuovo ruolo, poiché la insufficienza venosa non sempre è legata incontinenza della safena, che può essere anche affetta da reflusso, ma senza rilevante significato sulla comparsa dell’ulcera
Bisognerà , quindi, prestare particolare a attenzione a varici extra-safeniche con tronco safenico continente.
Oppure a casi particolari, ma certamente non rari, come un reflusso in una collaterale del golfo (“safena accessoria”) incontinente dalla cross con salto r3 al III medio di coscia e rientro in safena al terzo medio di gamba
Infine in casi di varici plurirecidive/anarchiche, la flebectomia rimane l’unica arma che la chirurgia ha a disposizione.
Possiamo, infine, affermare che le indicazioni alla chirurgia delle collaterali, considerata in passato un trattamento palliativo, attualmente trova uno spazio maggiore ed indicazioni specifiche.
In conclusione, dalla nostra disamina si può evincere che ancora non esiste un trattamento chirurgico valido per tutte le situazioni, e che, piuttosto che privilegiare una tecnica rispetto ad un’altra, sarebbe più opportuno ponderare la strategia terapeutica e verificarne i risultati a distanza.
La nostra posizione è di non accogliere acriticamente le nuove metodiche né di rifiuto pregiudiziale.
Non si può sperare dalle nuove tecniche ciò che non possono dare: Una risoluzione “magica” di ogni problema, o sollevarci dall’impegno “faticoso” di ricercarne sempre la causa
Perché altrimenti potremmo passare in un breve lasso di tempo dai tanti successi promessi alle
tante delusioni inaspettate.
M. Apperti
Seconda Università degli Studi di Napoli DIPARTIMENTO DI SCIENZE ANESTESIOLOGICHE, CHIRURGICHE E DELL’EMERGENZA SEZIONE DI FLEBOLOGIA