Se è evidente la necessità di pensare e lavorare in maniera innovativa per poter addivenire ad erogare servizi sanitari di alta qualità , altrettanto vero e che si debba sviluppare dei modelli di investimento migliori e più appropriati così da non disperdere economie in processi che non daranno alcuna certezza di modificare gli assetti in atto.
Riteniamo sia oggi una opportunità per la nostra Regione sperimentare tra i primi in Europa un modello di riconversione di ospedali desueti in nuove strutture finalizzate alla gestione del dolore cronico e acuto di natura benigna e oncologica. Vediamo ora perché questo modello è innovativo e quali bisogni soddisferebbe.
Epidemiologia
Il dolore è una patologia che colpisce milioni di persone, ma viene affrontato dai sistemi sanitari con un approccio caratterizzato dalla casualità che determina una grande inefficacia delle cure con incremento dei costi per caso trattato incrementando la probabilità di svilupparsi di condizioni di disabilità protratta nel tempo, talora permanente !
Lo stesso dolore oncologico che colpisce circa 7 milioni di nuovi casi / anno ( 75-80 % dei malati di cancro /anno) trova con le cure farmacologiche una efficacia soddisfacente solo nel 55-65 % degli utenti.
Tale dimensione di sofferenza ci rende evidente la presenza nel quotidiano di un universo di persone che soffrono e che in virtù di questa loro condizione di Malattia divengono i soggetti più fragili della società .
Il numero dei casi clinici con patologie croniche non mortali ed invalidanti per il dolore, è in continua crescita. Queste sono patologie assolutamente modeste per quanto riguarda il rischio di morte, in cui il dolore, unica condizione patologica, rende il vivere una tragedia da sopportare, che silenziosamente li tortura e li emargina.
Anche la medicina delle assicurazioni e quella legale non hanno riconosciuto e quantizzato il danno biologico ed esistenziale causato dal dolore cronico. Eppure piccole lesioni del nostro corpo, causate da un banale incidente possono determinare quadri di dolore intenso e incredibilmente invalidante, senza lasciare traccia del danno provocato, ma solo alcuni particolari segni che mostrano i meccanismi che generano il dolore.
I dati dell’incidenza per valutare lo stato di necessità di un programma di cura
La popolazione italiana ( Banche dati ISTAT 2000 e 2005 / 58,462,375 ab censimento ISTAT 2005) presenta una prevalenza del dolore cronico del 23 -21.7% che corrisponde a circa 15 —13 milioni (12.686.335 ) abitanti.
Di questa popolazione circa il 10% che corrisponde a 1.268.634 abitanti è affetta da un dolore complesso e da ultimo circa 126.863 abitanti potrebbero non avere soluzioni alla patologia.
L’Italia risulta essere al terzo posto, dopo Norvegia e Belgio, per quanto riguarda la prevalenza del dolore cronico ed al primo posto per quanto riguarda la prevalenza del dolore cronico severo (13%): si parla di 1 Italiano su 4.
Questa popolazione incide notevolmente nella domanda di sanità , infatti circa l’8-10% del totale della popolazione in carico ai presidi di Medicina Generale vi si rivolge a causa di dolore spesso causato da malattie del sistema osteomuscolare.
Co-morbosità indotte dal dolore
Il dolore limita le attività lavorative e questo è strettamente correlato con l’ aumentare dell’’età e con il genere essendo più frequente in ambito femminile, soprattutto a partire dalle classi di età superiori a 45-49 anni.
Lo status sociale del paziente viene influenzato profondamente dal dolore:
– nel 23% dei casi il paziente dichiara di perdere la posizione sociale, di vivere un senso di abbandono e di perdere il ruolo all’interno della famiglia (18%).
– Nelle indagini il 14-17% degli intervistati ha perso il proprio lavoro;
– il 28% è stato soggetto ad un cambio di responsabilità all’interno della propria mansione lavorativa;
– il 20% ha cambiato lavoro;
– al 22% è stata diagnosticata depressione
La media italiana di limitazione nella propria autonomia presenta una modesta variabilità regionale: 18.2 % (Trentino), 25 % (Molise), 22 % (Sicilia). In genere si osservano valori più elevati nel sud-Italia.
Le persone sofferenti per dolore persistente hanno un rischio quattro volte maggiore di provare ansia o di essere depresse rispetto a quelle che non ne soffrono.
Lo stato dei servizi in Italia
I CENTRI DI TERAPIA DEL DOLORE
Vediamo in questo scenario quale sia lo stato dell’arte del nostro Paese L’attuale rete di terapia del dolore oltre che incompleta e senza una modalità programmata di funzionamento, vive di strutture che sono immodificate logisticamente e operativamente da almeno 7 anni.
Popolazione che usufruisce dei Centri di Terapia del dolore: è maggiore la presenza delle donne (60%) rispetto agli uomini (40%).
Picco maggiore: pazienti con un’età elevata (fascia di età compresa tra i 71-80 anni), ma ciò che è degno di nota è il fatto che il 42% dei pazienti si trovi in un’età compresa tra i 31 ed i 60 anni: periodo in cui una persona è, o dovrebbe essere, in grado di lavorare per provvedere a se e alla propria famiglia. In casi come questi, i costi personali, sanitari e sociali rappresentano una questione rilevante Il 57 % dei pazienti è affetta da dolore cronico, ovvero un dolore che -come abbiamo detto- perdura da più di tre-sei mesi ed è presa in carico per tempi lunghi — 1 anno (23,4% dei casi) / 3 anni (13,1%).
Il lavoro porta alla luce un problema che impone delle riflessioni: il 21,2% dei pazienti non sa a chi rivolgersi per curare la sofferenza: è disorientato nel sistema delle cure e, addirittura non è a conoscenza dell’esistenza di un Centro del dolore (7,1%).
L’impegno futuro
E’ tempo di spingere l’acceleratore per avere il coraggio di guardare ciò che esiste è dare dignità al dolore e, in una coerenza non solo epistemologica, a coloro che devono trattarlo seguendo i modelli della buona pratica medica e scientifica
Il dolore è quindi un problema, sia al livello sociale che sanitario
Fondamentale è far comprendere alle persone che oggi, vincere il dolore si può e si deve sia per chi ne è afflitto che per chi lo assiste e le persone devono affidarsi al proprio medico di medicina generale che deve come prima istanza applicare le regole sul buon uso dei farmaci ed avere come riferimento lo specialista del dolore se il problema persiste, al fine di migliorare l’efficienza del sistema e ridurre la probabilità di cronicizzazione del dolore .
La Situazione della Regione Calabria
La nostra Regione parimenti alle altre realtà regionali del nostro Paese non ha adottato in questi anni un osservatorio specifico per il dolore , quindi mancano dati di incidenza della patologia su cui tracciare le azioni normative capaci di soddisfare i bisogni di salute dei nostri cittadini in maniera ottimale senza dispendio di economie e di energie operative.
La dotazione di nosocomi che operano nella tutela della persona con dolore e malattie avanzate deve essere la base da cui riassettare le nostre competenze professionali e logistiche.
Questo stato di difficoltà epidemiologica può essere la base per identificare una sperimentazione procedurale che con il supporto di un gruppo esperto coordinato da personalità del settore ci sappiano strutturare un Osservatorio epidemiologico che, primo in Italia, abbia la competenza di analizzare e monitorare le azioni di prevenzione e cura del dolore in ogni sua fase
A tal fine si dà mandato agli organismi competenti di procedure per stabilire i processi di attivazione del gruppo di studio regionale con il supporto di esterni. Il lavoro si dovrà completare nell’arco di sei mesi dopodiché si attueranno i processi legislativi per attivare la prima fase della Rete di Cura del Dolore e degli Hospice, che saprà definire i livelli di assistenza in relazione ai bisogni di salute onde offrire un processo di programmazione correlato con le differenti condizioni territoriali valorizzato sulla base dei processi esperienziali presenti in Europa e in Italia
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F. Amato, C. De Pasquale, M. Maletta, F. Greco
Azienda Ospedaliera di Cosenza U.O. Terapia del Dolore e Cure Palliative