Ancora oggi la pieloplastica a cielo aperto è considerata la procedura d’elezione per il trattamento della stenosi del giunto pielo-ureterale,considerato che il successo della tecnica arriva fino a percentuali del 99%. La morbilità dell’incisione lombare ha portato all’esplorazione di nuove tecniche : l’endopielotomia anterograda o retrograda hanno reso la metodica meno invasiva e in alcuni casi quasi ambulatoriale. Ma le percentuali di successo di queste tecniche non vanno oltre il 70-80 % e si associano ad un rischio emorragico superiore a quello della chirurgia aperta.
La pieloplastica laparoscopica introdotta nel 1993 combina la ridotta morbilità della laparoscopia con la possibilità ricostruttiva chirurgica e mostra percentuali di successo allo stato attuale simili a quelle della chirurgia aperta. La pieloplastica laparoscopica con assistenza robotica allo stato attuale non mostra particolari vantaggi rispetto alla pieloplastica laparoscopica se non quando a praticare l’intervento è un urologo meno esperto di laparoscopia.
La tecnica può essere praticata per via transperitoneale o retroperitoneale. L’approccio transperitoneale al rene viene fatto con paziente posto in decubito laterale (con il lato patologico in alto) con angolazione variabile tra 45 e 90 gradi. La tecnica transperitoneale prevede un diverso approccio tra destra e sinistra. A destra molto spesso soltanto un sottile velo di peritoneo parietale e di fascia di Gerota coprono il rene e la pelvi extrarenale quando è dilatata è ben evidente già all’introduzione del primo trokar. Il primo trokar può essere introdotto nell’ombelico o sulla linea pararettale al di sopra dell’ombelico. I due trokar di lavoro vengono inseriti sulla linea ascellare media, uno in posizione sottocostale e l’altro in basso, di solito a metà della linea che congiunge l’ombelico con la spina iliaca anterior-superiore. Una volta aperto il peritoneo parietale posteriore,il colon cade medialmente. In alcuni casi, laddove la pelvi sia intrasinusale, è necessario medializzare il duodeno, talora esponendo la cava e quindi visualizzare la pelvi renale; in questi casi quasi sempre è necessario l’inserimento di un quarto trokar allo scopo di sollevare il fegato. A sinistra l’accesso transperitoneale prevede in prima istanza la dissezione dell’angolo splenico del colon e la medializzazione di questo. Successivamente, aperta la fascia di Gerota, si può accedere alla pelvi renale e all’uretere. In realtà è descritto, e può essere realizzato un accesso trans-mesocolico, soprattutto quando la pelvi dilatata ha uno sviluppo anteriore; in tal caso la visualizzazione del giunto attraverso il mesocolon è immediata e può essere realizzato un accesso diretto alla pelvi, soltanto con l’incisione del peritoneo mesenterico; si ottiene così un rapido accesso al tempo principale dell’intervento,una minore mobilizzazione del colon con rischi minori di danni da manipolazione e risultati in termini di successo simili all’accesso retrocolico.
La tecnica laparoscopica può essere realizzata anche con accesso retroperitoneale; ai vantaggi che offre il retroperitoneo (scarsa invasività extraurologica) si associa lo svantaggio di lavorare in spazi ristretti e la maggiore difficoltà di anastomosi soprattutto quando si deve scrociare un vaso , il che provoca un prolungamento dei tempi operatori. In realtà sembra questa l’unica differenza tra i due approcci come sottolineato dall’unico studio randomizzato di confronto tra le due tecniche recentemente riportato in letteratura. La pieloplastica, retroperitoneale o transperitoneale è concettualmente e praticamente sovrapponibile alla tecnica a cielo aperto. La resezione della pelvi abbondante e del tratto di uretere “malato” realizza la condizione demolitiva ottimale. La ricostruzione accurata, facilitata dall’ingrandimento, consente l’effettuazione di una anastomosi a tenuta; il posizionamento di uno stent doppio J per 3-4 settimane viene consigliato da tutti. Le tecniche di posizionamento dello stent sono diverse: – preposizionamento di uno stent più lungo, – posizionamento laparoscopico diretto dopo aver effettuato il piatto posteriore attraverso un nuovo accesso o attraverso una porta pre-esistente, – posizionamento di un catetere ureterale al di sotto del giunto, recupero laparoscopico in corso di sutura (su filo-guida) e posizionamento di uno stent doppio J a fine intervento sotto controllo radioscopico e cistoscopico. La rimozione dello stent viene fatta tra le 3 e le 4 settimane.
Il successo della tecnica riportato in letteratura si aggira dal 93 % al 100 % (più vicino al 100 con l’aumentare dell’esperienza del gruppo di lavoro).
La possibilità di effettuare tale tecnica in tutte le condizioni (vaso anomalo, reni poco funzionanti, precedenti fallimenti, nei bambini e recentemente anche nei neonati), senza necessità di ricorrere ad una diagnostica sofisticata, associata ai brillanti risultati, omogenei in tutte le casistiche, e agli ulteriori potenziali miglioramenti con la robotica, ne rende di fatto indispensabile l’uso e la promozione come il nuovo “gold standard”.
Dr. Paolo Fedelini
Responsabile UO Urologia di Pronto Soccorso AORN Cardarelli Napoli Coordinatore Regionale Campania-Basilicata Auro.it (Associazione Urologi Italiani)