Per Profilassi farmacologica Post-Esposizione si intende l’uso di agenti terapeutici (farmaci, immunoglobuline specifiche etc.) atti a prevenire infezioni dopo una esposizione od una presunta esposizione. La pratica nasce, originariamente, a tutela degli operatori sanitari addetti all’assistenza (infermieri, medici, biologi etc.) ove è comunemente considerata soprattutto dopo esposizione a pericolosi agenti virali (HIV, HBV etc.). In questi casi la strategia migliore è certamente quella della “prevenzione” che consiste nell’utilizzo di prèsidi di sicurezza nel corso delle pratiche assistenziali (es. visori, guanti in latex, aghi auto-retraenti, occhialini e camici monouso detti comunemente dispositivi di protezione individuale) e, soprattutto, nell’uso di comportamenti in sicurezza (es. considerare ogni paziente chirurgico come potenzialmente infetto, assistere i pazienti agitati in maniera coordinata utilizzando più operatori, riporre gli aghi infetti negli appositi contenitori, utilizzare la pratica vaccinale per l’HBV etc.). Ma, quando per un qualsiasi motivo fallisce la prevenzione (e, quindi, nonostante tutto, accade l’incidente espositivo), l’unico modo per ridurre il rischio di contagio (per l’HIV almeno dell’80% !) è la profilassi.
Per quanto concerne più specificamente quest’ultimo virus, possiamo affermare che al mondo vi sono più di 300 operatori sanitari sieropositivi che si sono contagiati in virtù di “incidenti professionali” (punture, tagli, contaminazione congiuntivale etc.) ed, anche se questo virus non è certamente il più pericoloso (il rischio stimato di contagio tramite ago infetto è del 3 per mille !!!), assumere per soli 28 giorni dei farmaci antivirali che riducono la possibilità di un contagio sembra essere una buona pratica clinica che tutela l’operatore e la società intera. E’ da rimarcare che fino a qualche anno fa, l’utilizzo della PEP era considerato una chance ma non un obbligo da parte del datore di lavoro (Aziende Ospedaliere, Ministero dell’Interno, Comando Polizia Penitenziaria, Corpo di Polizia Municipale etc) mentre oggi, col sopravvenire di disposizioni legislative sempre più rivolte alla tutela del dipendente, la gestione dei “Servizi di PEP” e delle procedure connesse con l’incidentistica occupazionale, diventa di “importanza strategica” per le aziende sanitarie pubbliche e private e non solo per fini medico-legali.
Nell’ultimo decennio, inoltre, la riemergenza e la sempre maggiore attenzione alle malattie a trasmissione sessuale (MTS) sia batteriche (sifilide, gonorrea etc.) che, soprattutto, virali di cui l’infezione da HIV è il paradigma, hanno consentito l’estensione di questa “strategia di profilassi” anche a soggetti non professionalmente esposti. Al dire il vero il Ministero della Salute italiano (come quello di altri paesi come gli Usa, il Canada, la Svizzera etc.) già da qualche anno prevede che la “chance” della PEP sia estesa anche a questo tipo di esposizioni nell’ambito di rapporti sessuali non protetti (o protetti con rottura o scivolamento del condom) con parters sessuali infetti (coppie cosiddette “discordanti”) o a sierologia ignota ma ad alto rischio (con tossicodipendenti, prostitute o nell’ambito di violenze sessuali). Anche in questo caso, comunque, fare “prevenzione” vorrebbe dire utilizzare sempre il preservativo fin dall’inizio del rapporto sessuale ed, inoltre, essere correttamente informati sulla correlazione fra rischio di contagio e tipo di rapporto sessuale (maggiore per quello anale, intermedio per quello vaginale e minore per quello orale) e fra rischio di contagio e modalità del rapporto (maggiore per quello passivo o recettivo e minore per quello attivo od insertivo).
Dr. Alfredo Franco
Dirigente Medico Infettivologo AORN “Monaldi-Cotugno-CTO” Responsabile UOSD di “Sorveglianza e Profilassi farmacologica Post-Esposizione”