In una società come la nostra, inondata di una infinità di notizie destinate a svaporarsi nel giro di qualche giorno, un posto di rilievo se lo sta meritando il cosiddetto “caso tubercolosi” che troneggia da settimane sui giornali e TV determinando inutili ansie e allarmismi.
La storia è ormai nota. Una denuncia presentata da una associazione di consumatori (il Codacon) sulla presenza di una infermiera “affetta da tubercolosi” in servizio presso il Policlinico Gemelli di Roma ha portato alla effettuazione di controlli che hanno evidenziato, tra i bambini che sono stati ricoverati al Policlinico, 122 infezioni da Mycobacterium tuberculosis (anche se al momento solo una bambina nata il 22 marzo 2011 ha sviluppato la malattia). Una indagine (sostanzialmente di routine e per ora senza nessun indagato) della Procura della Repubblica di Roma e l’annuncio di una “class action” intentata da decine di famiglie contro la direzione del Policlinico ha dato vigore ad una davvero incredibile campagna allarmistica che si spera finisca al più presto.
Saltando a piè pari sui motivi per i quali si rinfocolano quotidianamente queste campagne e sulle eventuali responsabilità della direzione del Policlinico Gemelli, (per l’accertamento delle quali è in corso una perizia ordinata dalla Procura) limitiamoci ad esporre qui gli aspetti sanitari e medici del “pericolo tubercolosi” in Italia.
Comunemente quando si parla di “tubercolosi”, o TBC, il pensiero corre a strazianti immagini di morte, la più celebre tra queste, certamente, la “consunzione” di Violetta che sigilla l’opera “La Traviata” di Giuseppe Verdi. In realtà , secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità , un terzo della popolazione mondiale (un ottavo tra quella nei paesi industrializzati) è stato esposto al patogeno della tubercolosi e può, quindi, dirsi “affetta da tubercolosi”.
A determinare questa situazione è un gruppo di microbi; primo tra tutti il Mycobacterium tuberculosis, (detto anche “Bacillo di Koch”, dal nome del suo scopritore) e poi il Mycobacterium bovis, Mycobacterium africanum, Mycobacterium canetti e il Mycobacterium microti.
Il perché della diffusione di questa infezione si spiega con il meccanismo di trasmissione dei suoi microbi. Quando persone che soffrono di TBC polmonare attiva tossiscono, starnutiscono, parlano o sputano, espellono goccioline di aerosol da 0.5 a 5 µm di diametro. Un singolo starnuto può rilasciare fino a 40.000 particelle. Ognuna di queste gocce può trasmettere la malattia, poiché la dose infettiva di tubercolosi è molto piccola e l’inalazione di solamente un singolo batterio può creare una nuova infezione. Persone con contatti prolungati, frequenti o intensi sono a particolare rischio di infezione, con una percentuale del 22% circa di contagio. Una persona con tubercolosi attiva, ma non trattata può infettare 10-15 persone all’anno. Altri soggetti a rischio includono persone che vivono in aree, come quelle del Terzo Mondo, in cui la TBC attiva è molto diffusa, o in luoghi frequentati da persone ad alto rischio quali, ad esempio, pazienti immunocompromessi da malattie come l’AIDS, persone che prendono farmaci immunosoppressori e personale di assistenza sanitaria che trattano pazienti di questo tipo.
Circa il 90% delle persone infette dal Mycobacterium tuberculosis ha un’infezione TBC asintomatica (chiamata anche LTBCI, da latent tuberculsis infection), e solamente il 10% di possibilità nella vita che un’infezione latente si sviluppi in TBC.
L’infezione tubercolare inizia quando i micobatteri raggiungono gli alveoli polmonari, dove attaccano e si replicano all’interno dei macrofagi alveolari. Il sito primario di infezione nei polmoni è chiamato focolaio di Ghon. I batteri vengono raccolti dalle cellule dendritiche, che non permettono la loro replicazione ma che possono trasportare i bacilli ai linfonodi mediastinici locali. La lesione primitiva del mycrobacterium accompagnata da adenopatia satellite rappresenta il “complesso primario”, in cui i bacilli rimangono murati senza dare luogo a manifestazioni cliniche, ma possono riprendere la loro attività patologica e diffondersi nell’ organismo soprattutto in seguito ad un immunodeficit dell’ individuo. L’ulteriore diffusione attraverso il flusso sanguigno si dirige verso i tessuti e gli organi più distanti, dove lesioni secondarie di TBC si possono sviluppare negli apici polmonari, nei linfonodi periferici, nei reni, nel cervello e nelle ossa. Ogni parte del corpo può essere influenzata dalla malattia, che tuttavia raramente colpisce il cuore, i muscoli scheletrici, il pancreas e la tiroide. L’infezione può crescere o diminuire e la distruzione dei tessuti e la necrosi è bilanciata dalla guarigione e dalla fibrosi. I tessuti affetti vengono rimpiazzati da cicatrici e le cavità riempite di materiale necrotico bianco. Nella malattia attiva parte del materiale necrotico si unisce all’aria passante per i bronchi, e questo viene tossito. Esso contiene batteri attivi, e quindi può diffondere l’infezione.
La malattia si manifesta generalmente con febbre, brividi, sudorazione notturna, perdita di appetito, perdita di peso, pallore, e una tendenza ad affaticarsi molto facilmente. In caso di infezione polmonare i sintomi includono dolori al torace, emottisi e una tosse di durata maggiore a tre settimane. Come già detto, l’infezione può localizzarsi anche in siti diversi dai polmoni quali l’intestino, il sistema linfatico, le tonsille, nel fegato, le ossa, l’esofago, il sistema nervoso centrale, i vasi sanguigni, , le meningi, i reni… manifestandosi con sintomi diversi da quelli della tubercolosi polmonare.
Per la cura della tubercolosi vengono utilizzati antibiotici; i più utilizzati sono la rifampicina e l’isoniazide. Tuttavia, invece del breve periodo di cure di antibiotici tipicamente utilizzato per altre infezioni batteriche, la TBC necessita di periodi molto più lunghi (dai 6 ai 12 mesi) per eliminare completamente i micobatteri dall’organismo. Il trattamento per la TBC latente utilizza solitamente un singolo antibiotico, mentre la TBC attiva viene curata in modo più efficace con la combinazione di diversi antibiotici, per ridurre la possibilità che i batteri sviluppino una resistenza agli antibiotici. Persone con infezioni latenti vengono curate per prevenire la possibile evoluzione della TBC nella sua forma attiva. Tuttavia, il trattamento utilizzante la rifampicina e l’isoniazide non è senza rischi. I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno fornito agli operatori sanitari delle raccomandazioni contro l’utilizzo di rifampicina e isoniazide per il trattamento dell’infezione tubercolosa latente, a causa dell’alto numero di ospedalizzazioni e decessi da danni al fegato associati con l’utilizzo combinato di questi due farmaci.
La tubercolosi resistente ai farmaci si trasmette allo stesso modo della normale TBC. La resistenza primaria avviene nelle persone che sono infette da un ceppo resistente di TBC. Un paziente con TBC normale sviluppa una resistenza secondaria (o resistenza acquisita) durante la terapia contro la TBC a causa del trattamento inadeguato, del non mantenimento delle cure prescritte o dell’utilizzo di medicine di bassa qualità .La TBC resistente ai farmaci è un problema in molti paesi in via di sviluppo, poiché il trattamento è più prolungato e richiede farmaci più costosi. La tubercolosi multiresistente (MDR-TBC) è definita come TBC resistente ai due medicinali più efficaci di prima linea: la rifampicina e l’isoniazide. La tubercolosi estensivamente resistente ai farmaci (XDR-TBC) è immune anche a tre o più dei farmaci di seconda linea,
La prevenzione e controllo della TBC ha due approcci paralleli. Nel primo, le persone con la TBC e le persone a loro vicine vengono identificate e trattate. L’identificazione delle infezioni spesso implica l’esame dei gruppi ad alto rischio per la TBC. Nel secondo approccio, i bambini vengono vaccinati per proteggerli dalla TBC. Sfortunatamente nessun vaccino disponibile provvede una protezione affidabile per gli adulti. Tuttavia, nelle aree tropicali dove i livelli di altre specie di micobatteri sono elevati, l’esposizione a micobatteri non tubercolari dà una parziale protezione alla TBC.
Il primo vaccino (costituito da micobatteri uccisi al calore) contro la TBC è stato ideato, nei primi anni del 1900, dal medico italiano Edoardo Maragliano; successivamente si è passati alla vaccinazione utilizzando micobatteri vivi attenuati di tubercolosi di razza bovina, sviluppati da Albert Calmette e Camille Guerin, il cosiddetto “BCG” (Bacillo di Calmette-Guérin). Molte nazioni utilizzano il BCG come parte dei loro programmi di controllo della TBC, specialmente per i bambini. In Sudafrica, ad esempio, il paese con la più alta concentrazione di TBC, il vaccino viene dato a tutti i bambini sotto i tre anni. Diversi vaccini per prevenire le infezioni di TBC sono in corso di sviluppo. L’ultimo, quello di M. Jacobs e altri, utilizza batteri M. smegmatis privi del set di geni Esx-3, inserendo al loro posto la serie analoga di geni del M. tubercolosis, ma i risultati dei primi test su animali non sono stati incoraggianti. E anche per questo resta ancora valido quanto stabilito dall’OMS nella sua campagna “Stop TBC” basata sulla lotta alla malnutrizione (che come è arcinoto è il principale terreno di diffusione della TBC) e sul rispetto di elementari norme igieniche; basti pensare, ad esempio, fermare la maleducata abitudine di sputare per terra, secondo l’OMS, per dimezzare i rischi di trasmissione della tubercolosi.
Prof. Giulio Tarro
Primario emerito dell’ Azienda Ospedaliera “D. Cotugno”, (NA). Chairman della Commissione sulle Biotecnologie della Virosfera, WABT – UNESCO, Parigi.