Per “Sindrome di Medea” si intende il complesso quadro di segni e sintomi che caratterizza il genitore di sesso femminile in risposta ad uno status stressogeno e/o conflittuale con il partner, identificando nel proprio figlio la possibilità di scaricare aggressività e frustrazione, fino al gesto estremo di privarlo della vita, trasformandolo in uno strumento di potere e di rivalsa sul coniuge. L’espressione prende origine dalla tragedia greca di Euripide che racconta la triste vicenda di Medea, moglie e madre, che nell’intento di punire il marito Giasone per il tradimento del vincolo matrimoniale, sacrifica la vita dei propri figli, pur di affermare la dominanza femminile su quella maschile.
Recenti acquisizioni descrivono la traslazione del quadro sindromico all’epoca fetale, analizzandone gli aspetti genetici, psico-biologici, patologici ed etici. La gravidanza rappresenta un conflitto psico-biologico che segna profondi cambiamenti nella psiche della madre, che si trova a confrontarsi con un’altra psiche, quella intrauterina, secondo Peluffo. Lo studioso, nell’analisi delle complesse reazioni immunitarie che si verificano a livello dell’unità feto-placentare, ribadisce l’unica eccezione presenta in natura alle regole di istocompatibilità . Ne deriva che in seguito alla risoluzione di un possibile rigetto della parte paterna, si osservi il passaggio del conflitto dalla sfera fisica a quella psichica. A sostegno di tale ipotesi, anche la micropsicoanalisi ha elaborato il concetto di “guerra intrauterina” tra madre e feto. Sul piano biologico, invece, si sostiene l’ipotesi di una lotta per il nutrimento, e la successiva sopravvivenza, tra le due parti, che si realizza con l’invasione trofoblastica. Dal punto di vista genetico vengono riconosciute situazioni di conflitto madre-feto per la contemporanea presenza di geni materni e fetali, che essendo in parte di derivazione paterna, sono stimati essere estranei da parte del patrimonio genetico della donna.
In definitiva, la Sindrome di Meda si associa all’impossibilità da parte della donna di gestire la gravidanza sia sul piano fisico che su quella psicologico e il conseguente management del figlio nelle sue implicazioni personali e relazionali in rapporto al coniuge. La dinamica omicidiara che ne consegue è responsabile di una tragica e innaturale vendetta, vissuta come difesa da un mondo riconosciuto colpevole di abbandono o mancato rispetto di patti in precedenza sanciti.
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Dr.ssa Stefania Triunfo