L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica autoimmune ad eziologia sconosciuta ma verosimilmente multifattoriale. È caratterizzata da dolore, tumefazione e distruzione articolare, disabilità funzionale, coinvolgimento sistemico e compromissione della durata e della qualità di vita 1. Si tratta di una malattia che, se non viene precocemente riconosciuta e trattata in modo adeguato, comporta esiti altamente invalidanti, nonché una riduzione dell’aspettativa di vita dei soggetti affetti rispetto alla popolazione generale.
Sebbene l’esame obiettivo rimanga tuttora il gold standard nell’individuazione dell’infiammazione della membrana sinoviale, oggi l’impiego di tecniche di imaging dotate di maggior sensibilità, consente invece l’individuazione di alterazioni articolari entro i primi 6 mesi dalla comparsa dei sintomi, infatti l’ecografia articolare, con l’ impiego del Power Doppler, si è rivelata essere un ausilio imprescindibile e molto sensibile ed affidabile nella valutazione iniziale e nel successivo monitoraggio dell’artrite in fase precoce 2. L’importanza di riconoscere al più presto la malattia è direttamente correlata alla possibilità di sfruttare la cosiddetta “finestra di opportunità”, che ci indica l’intervallo iniziale di tempo in cui si puo’ interferire piu’ efficacemente con i meccanismi patogenetici alla base di tale patologia e permette di arrestarne l’evoluzione attraverso l’utilizzo di appropriate strategie terapeutiche. Ai fini del corretto inquadramento prognostico della malattia, sono stati di recente elaborati da parte dell’American College of Rheumatology i nuovi criteri classificativi dell’AR 3 che, a differenza di quelli pubblicati nel 1987, sono finalizzati alla identificazione delle forme più aggressive e dunque meritevoli di un trattamento precoce, attraverso l’individuazione di fattori prognostici negativi, associati ad una maggior probabilità di persistenza dell’artrite, di progressione radiografica e di sviluppo di disabilità.
Tra questi spiccano la positività di alcuni autoanticorpi (Fattore Reumatoide e anticorpi anti-Peptide Ciclico Citrullinato), elevati livelli degli indici di infiammazione e l’elevato numero di articolazioni colpite.
E’ stata in più occasioni affermata l’importanza di una diagnosi precoce, dal momento che il danno articolare si sviluppa in tempi rapidi e che un trattamento mirato è in grado di bloccare o quantomeno ridurne la progressione. A tale proposito è stato dimostrato che le erosioni articolari, sono documentabili con la radiologia convenzionale nei primi 2 anni di malattia in oltre il 70% dei casi
In fase iniziale il processo infiammatorio articolare presenta nel 30-50% le caratteristiche di un’artrite indifferenziata, con tendenza ad autolimitarsi in circa la metà dei casi; nel 20% dei casi l’artrite assume connotati di persistenza mantenendo le caratteristiche iniziali senza significativi danni strutturali; nel restante 10-30% dei casi l’artrite può assumere gli aspetti di una forma definita di AR, persistente ed erosiva.
Per tale motivo è emersa la necessità di individuare indicatori delle fasi precoci di malattia, mediante i quali identificare i soggetti a rischio con segni e sintomi di allarme (red flags), premonitori di evoluzione sfavorevole. A tale riguardo è stato raccomandato di sottoporre al parere e all’osservazione specialistica i soggetti con:
1. tumefazione a carico di tre o più articolazioni di durata maggiore di 6 settimane;
2. coinvolgimento delle metacarpofalangee o delle metatarsofalangee valutato con “la manovra della gronda” (squeeze test);
3. rigidità mattutina di 30 minuti o più 4.
Fondamentale per il buon funzionamento della ricerca dei pazienti con Early artrithis e’ la stretta collaborazione con i Medici di Medicina Generale che, possibilmente entro 6 settimane dall’esordio dei sintomi, dovrebbero inviare il paziente ad uno specialista reumatologo.
Dr. Rosario Buono
UOS Reumatologia
A.O.R.N. “A. CARDARELLI” Napoli