La gestione degli ematomi retroperitoneali post-traumatici risulta tuttora controversa difficoltosa per la molteplicità della possibili cause e l’estrema varietà delle lesioni riscontrabili sia singole che in associazione.(1)
Alcuni principi possono però essere d’aiuto per una corretta strategia di approccio e di trattamento.
La TC con mezzo di contrasto, con apparecchiature multiscan, è da considerare il gold standard diagnostico, in particolare nella definizione dei sanguinamenti pelvici raggiunge una sensibilità tra 80 e 84% e una specificità tra 85 e 98%. (2, 3)
Permette inoltre una efficace definizione delle lesioni associate del torace e diaframma, altrimenti misconosciute in una percentuale che arriva al 16%. L’uso del mezzo di contrasto gli consente una sensibilità equivalente all’esame contrastografico nella diagnosi di traumatismi renali e vescico-uretrali (“blush”), ma anche nella dimostrazione dell’integrità anatomo-funzionale del rene controlaterale in previsione di una nefrectomia per trauma.(4)
L’ecografia FAST, poco efficace per lesioni retroperitoneali, permette di ottenere, per lesioni endoperitoneali, una sensibilità superiore al 95%, accuratezza del 95,1%, valore predittivo positivo del 86,3 % e valore predittivo negativo del 98,3%.
Resta comunque insostituibile, in fase di emergenza, per la diagnostica di versamento pleurico e pericardico risultando fondamentale nel porre l’indicazione ad un drenaggio salvavita. (5)
Il lavaggio peritoneale diagnostico (DPL), in caso di non disponibilità di strumenti diagnostici più efficaci, presenta, per la diagnosi di emoperitoneo, sensibilità e specificità oltre il 95%.
L’angiografia interventistica in questi traumatizzati è in grado di risolvere sia in fase preoperatoria che intraoperatoria situazioni emorragiche anche plurime con un’efficacia media del 90%, assicurando una risoluzione clinica e radiologica pari al 97%..
In presenza di fratture del bacino, specie se instabili, pluriframmentarie o “a libro aperto” fondamentale risulta la stabilizzazione dei monconi, senza la quale molto spesso è impossibile limitare l’evoluzione di un ematoma secondario ad emorragie a bassa pressione provenienti in più del 90% dei casi da lesioni dei plessi venosi pelvici.Ottenuto il controllo emodinamico, la stabilizzazione del bacino deve precedere anche l’esame angiografico e deve essere effettuata, tramite fissatori esterni o C clamp, in casi limite anche tramite un semplice bendaggio serrato o con l’uso del pantalone antishock (MAST). ( 6)
L’atteggiamento dev’essere primariamente conservativo, l’esplorazione chirurgica di un ematoma pelvico infatti, permette il controllo delle fonti emorragiche solo nel 4% dei casi, di contro è responsabile di una mortalità compresa tra 66 e 83%.(7, 8) L’apertura di un ematoma retroperitoneale è un atto chirurgico spesso pericoloso, bisogna pertanto essere preparati ad effettuare esclusivamente una chirurgia di damage control : confezionamento di un packing pelvico, seguito da rapida chiusura temporanea, stabilizzazione del bacino ed angiografia operativa.
Questo tipo di approccio ha prodotto un abbattimento del 50% degli interventi chirurgici anche per traumi aperti, vista la possibilità di utilizzo reiterato in emergenza dell’ecografia e della TC con mezzo di contrasto; ciònonostante si segnala ancora un 27% di laparotomie abusive e inutili. (9)
E’ utile pertanto ribadire che in una moderna gestione del traumatizzato con ematoma retroperitoneale la decisione chirurgica dev’essere dettata da precise valutazioni riguardo a :
1. stato emodinamico del paziente
2. presenza di lesioni associate specie intraperitoneali
3. tipo di trauma, aperto o chiuso
4. sede dell’ematoma. (10)
Una razionale regolamentazione dell’approccio all’ematoma retroperitoneale nella fase di urgenza è stata definitivamente formalizzata da Selivanov che ha individuato nello spazio retroperitoneale tre aree : una Zona 1 centrale divisa trasversalmente in uno spazio sovramesocolico ed uno sottomesocolico, una doppia Zona 2 laterale, una Zona 3 a localizzazione pelvica. (6 ).
Le lesioni che coinvolgono la zona centrale interessano gli assi vascolari maggiori e i loro rami, il complesso duodeno- pancreatico, l’esofago sottodiaframmatico; quindi traumi, in particolare aperti, di questa sede sono destinati a una laparotomia sistematica, previa TC con mezzo di contrasto
I traumi a sede in Zona 2 provocano generalmente lesioni renali e delle prime vie escretrici con o senza interessamento dei peduncoli vascolari e perforazioni posteriori del colon destro e sinistro. Queste situazioni vanno attentamente valutate nel tempo in base all’evoluzione clinica e della diagnostica per immagini. L’obiettivo è di trattare al primo apparire le lesioni intestinali e di evitare nefrectomie abusive; il 95% delle lesioni renali rispondono infatti ai trattamenti conservativi.(11)
Traumatismi della Zona 3 provocano il più frequentemente fratture del bacino responsabili dell’87% degli ematomi pelvici che generalmente si vanno autolimitando soprattutto dopo la stabilizzazione dei monconi di frattura, giustificata quindi l’attesa con gestione multidisciplinare
Prof. Franco Stagnitti