L’artrite reumatoide (AR) è una patologia, cronica, infiammatoria che colpisce le articolazioni periferiche, con distruzione progressiva delle strutture articolari e periarticolari.
Anche se il sottotipo principalmente coinvolto è ancora materia di dibattito, dati sperimentali e studi osservazionali hanno dimostrato che le cellule T helper giocano un ruolo chiave nella patogenesi dell’ AR. Esse invadono la membrane sinoviale delle articolazioni periferiche, il sito primario del processo infiammatorio, e la loro attivazione può indurre il reclutamento e l’attivazione di altre cellule infiammatorie, quali i macrofagi. Questi ultimi, a loro volta, secernono citochine che potenziano lo sviluppo dei Linfociti T e stimolano il rilascio, da parte dei sinoviociti, di enzimi che distruggono l’osso e la cartilagine. Le cellule T, dunque, rappresentano un possibile target terapeutico per l’AR.
Alla fine degli anni ’90, l’introduzione dei farmaci biologici, prodotti attraverso la tecnologia del DNA ricombinante e diretti contro specifici componenti del sistema immune, ha rivoluzionato positivamente il trattamento dell’AR. Tra questi, Abatacept (CTLA4–Ig), una proteina di fusione costituita dal dominio extracellulare dell’Antigene 4 associato al linfocita T citotossico umano (CTLA-4) legato alla porzione Fc modificata della immunoglobulina G1 umana (IgG1), è stato approvata per il trattamento dell’AR. A seguito del legame con CD80 o CD86 sulle cellule presentanti l’antigene, Abatacept ne previene l’interazione con il CD28 espresso sulle cellule T, con conseguente inibizione del segnale necessario per l’attivazione cellulare.
Clinicamente si distinguono tre tipi di alterazioni ossee nell’AR: osteoporosi generalizzata, erosioni e osteopenia iuxta-articolare delle articolazioni affette, che sembrano almeno in parte mediati da comuni meccanismi patogenetici convergenti verso un aumento della differenziazione e dell’attività di riassorbimento degli osteoclasti.
Analisi immunoistochimiche e la Tomografia Computerizzata (micro-CT) hanno dimostrato una riduzione dell’infiammazione, della distruzione cartilaginea e del riassorbimento osseo in modelli murini con artrite indotta da collagene e trattati con Abatacept5, suggerendo così la sua efficacia nella riduzione sia dell’infiammazione che del riassorbimento osseo. Inoltre CTLA-4 inibiva in vitro la differenziazione dei monociti in osteoclasti in assenza di linfociti T e la formazione osteoclastica TNF-dipendente in modelli animali di artrite. Di recente è stata evidenziata una significativa down-regolazione di IL-6, TNF-α, IL1-β e TGF-β in macrofagi sinoviali isolati da pazienti con AR, supportando l’ipotesi che Abatacept possa avere come target anche le cellule monocito-macrofagiche e inibire la loro differenziazione in cellule con funzione di riassorbimento. A supporto di tale ipotesi, Abatacept proteggeva dalla perdita ossea e dalla stimolazione del riassorbimento indotta dall’ormone paratiroideo in vivo.
Uno studio multicentrico, controllato, randomizzato, in doppio cieco verso placebo ha dimostrato l’efficacia di Abatacept endovena, in combinazione con Methotrexate, nel ridurre l’attività di malattia in pazienti con AR e nel prevenire la progressione delle erosioni9. Simili risultati sono emersi in un altro trial clinic che riportava una inibizione della progressione radiografica in pazienti con AR e trattati per 2 anni con Abatacept sottocute.
Pochi sono i dati presenti in letteratura sull’impatto diretto di Abatacept sui markers ossei in corso di RA. Solo uno studio ha riportato la riduzione dell’espressione dell’m-RNA di citochine pro-osteoclastogeniche a livello sinoviale, dopo trattatamento con Abatacept.
La letteratura internazionale suggerisce dunque che Abatacept protegge dalla perdita ossea in corso di AR; tuttavia ulteriori indagini sono necessarie per chiarire il meccanismo che media tale effetto e, soprattutto, per valutarne l’efficacia a lungo termine.
dr.ssa Anna Neve Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Università degli Studi di Foggia