L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica, di eziologia sconosciuta, a patogenesi autoimmune, dominata da un processo di sinovite cronica prevalentemente a carico delle piccole e delle grandi articolazioni diartrodali, ad impronta destruente, spesso associata con la positività del fattore reumatoide.
In Italia la malattia colpisce circa lo 0,5 % della popolazione per cui ci sono circa 300.000 persone affette con un numero di donne doppio rispetto a quello degli uomini. L’elevato grado di variabilità inter-individuale nelle diverse espressioni della malattia, nell’evolutività e nella prognosi giustifica l’impiego di misure cliniche e di laboratorio per l’inquadramento e la valutazione del paziente.
L’adozione di tali parametri riveste un’importanza strategica nel definire lo stato di attività di malattia e nel predirne l’evoluzione prognostica.
Negli ultimi anni lo sviluppo di metodi diagnostici più sensibili quali la valutazione degli anticorpi antipeptide citrullinato, dell’ecografia articolare e della risonanza magnetica, nonché di terapie innovative (farmaci biotecnologici), hanno permesso di ottenere una diagnosi sempre più precoce della malattia.
È ormai assodato che la precocità nella diagnosi determini un notevole miglioramento della prognosi. Numerosi studi evidenziano che quando la terapia viene attivata intrapresa nell’ambito della “Window of Opportunity”, caratteristicamente confinato ai primi due anni dalla comparsa dei sintomi, si ottenga una migliore risposta clinica.
Oltre all’inequivocabile importanza della diagnosi precoce e del precoce inizio del trattamento, rivestono notevole interesse gli approcci terapeutici con cui i pazienti sono seguiti. Da questo punto di vista i migliori sembrano essere quello del “tight control” e del “treat to target”.
Il primo obiettivo del reumatologo, quindi, non è più solo quello di migliorare i sintomi ma di puntare alla “remissione”.
La valutazione dell’attività di malattia e della remissione è uno dei compiti ineludibili che il reumatologo deve assolvere, sia nella gestione routinaria del paziente, che per fini di ricerca, allo scopo di assicurare una modulazione della strategia terapeutica adattata all’andamento del processo infiammatorio. Allo stato attuale si ritiene che l’attività di malattia debba essere valutata ad intervalli almeno trimestrali (tight control). Appare, quindi, indispensabile che al di là delle valutazioni comunemente condotte in corso di trials clinici, il reumatologo disponga, nella sua pratica clinica, di strumenti semplici, di facile computazione, adatti a tale scopo.
Il tight control, dunque, è una strategia di trattamento ritagliata sull’attività di malattia del singolo paziente, per cui mediante lo stretto monitoraggio dei dati clinici,laboratoristi e strumentali del paziente affetto da AR, sembra potersi garantire un miglior outcome indipendentemente dal tipo di terapia intrapresa.
Il treat to target implica invece la possibilità di raggiungere il più alto obiettivo terapeutico (remissione) utilizzando precocemente o rivalutando tempestivamente le terapie disponibili sulla base di un attento monitoraggio dell’attività di malattia.
La remissione come obiettivo di trattamento è fondamentale per prevenire la progressione del danno articolare.
Il trattamento mirato attraverso la misurazione dell’attività di malattia e il conseguente aggiustamento di terapia ottimizza gli outcome in AR. Fino a che l’obiettivo di trattamento desiderato non è raggiunto, la terapia farmacologica dovrebbe essere aggiustata almeno ogni 3 mesi.
La misurazione dell’attività di malattia deve essere effettuata e documentata regolarmente, ogni mese per i pazienti con attività di malattia moderata-elevata o meno frequentemente (ogni 3-6 mesi, per esempio) per i pazienti con bassa attività di malattia o in remissione.
L’obiettivo del trattamento dovrebbe essere mantenuto per tutto il corso della malattia. Ogni incremento dell’attività di malattia potrebbe riattivare il processo distruttivo. Solo la remissione sostenuta nel tempo porta all’arresto del danno radiografico.
Perl giudicare l’attività di malattia si utilizzano una misurazione clinimetrica oggettiva come il DAS28, il CDAI ( Clinical Disease Activity Index) o lo SDAI (Simplified Disease Activity Index) che ci permettono di centrare il target primario del trattamento dell’AR, che dovrebbe essere il raggiungimento della remissione clinica.
La remissione clinica è definita come l’assenza di segni e sintomi di un’attività infiammatoria di malattia significativa. Anche una remissione clinica persistente non protegge completamente dalla progressione del danno radiologico. Il concetto di remissione oggi non prescinde dall’includere anche la definizione di remissione radiologica, un obiettivo fondamentale considerando l’impatto sulla funzionalità e la qualità di vita del paziente. Nel processo decisionale clinico, anche le alterazioni strutturali e la compromissione funzionale dovrebbero essere considerate in aggiunta alle misure composite di attività di malattia.
L’utilizzo di criteri di remissione clinica più stringenti non è sufficiente per escludere la presenza di malattia ancora attiva.
La valutazione clinica non è in grado di rilevare livelli di infiammazione bassi ma clinicamente importanti, che invece vengono dimostrati oggettivamente dalle tecniche di imaging più sensibili (ecografia e risonanza magnetica).
In reumatologia, la definizione di remissione vera dovrebbe basarsi non soltanto sull’esame clinico, ma anche sulla conferma di assenza di infiammazione sub-clinica attraverso l’imaging.
Questo perché i anche i pazienti con AR in remissione clinica da 1 anno vanno incontro a progressione del danno radiografico. Il 73,3% evidenzia una sinovite sub-clinica rilevabile ecograficamente, il 96,2% rilevabile alla risonanza magnetica
Chiarito l’obiettivo della remissione, in base alle evidenze disponibili, l’attività minima di malattia ( LDA – low disease activity) può essere un obiettivo terapeutico alternativo particolarmente nei pazienti con AR di lunga durata che possono risultare refrattari alle terapie.
Nell’AR precoce, la LDA dovrebbe essere soltanto uno step intermedio per il raggiungimento della remissione.
L’acquisizione di un numero sempre crescente di informazioni, attraverso l’integrazione dei dati clinici con dati “paziente-centrati”, ha favorito, nel corso degli ultimi anni, una conoscenza più approfondita dello stato di attività della malattia e più in generale delle condizioni di salute del paziente con artrite reumatoide. La partecipazione attiva del paziente alle decisioni relative alla propria salute assume un ruolo significativo all’interno di un concetto molto più ampio di salute, fondato non solo su risultati clinici ma anche su valutazioni “paziente-centrate”, ponendo al centro della discussione il miglioramento della“qualità della cura della persona”.
Negli ultimi anni sono stati compiuti notevoli passi avanti nella comprensione della patogenesi, nella precocità diagnostica, nell’individuazione di fattori predittivi di risposta e, in generale, nella complessa gestione dei pazienti con AR. Questo ha reso possibile per un numero sempre maggiore di pazienti, il raggiungimento dell’obiettivo remissione, fino a pochi anni fa considerato quasi una chimera. Rimane tuttavia molto da fare, soprattutto considerando quella percentuale di pazienti che nonostante le nuove strategie terapeutiche non risponde in maniera adeguata e/o duratura.
Gaetano Nutile
Specialista ambulatoriale in Reumatologia
ASL Avellino e ASL Salerno
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